Il grande favore con il quale don Albertario accolse la generosità di Madre Laura è testimoniato dalla grata lettera che egli le indirizzò il 26 novembre 1889:

«Madre reverenda,

le sono riconoscentissimo della sua venerata lettera del 24 corr. in risposta alla mia, della benevola premura che mi dimostra, dei consigli che mi dà, della promessa del segreto, delle speranze che mi fa concepire.

S. E. Monsignor di Pavia mi chiamò da Lui e mi disse del Rancari e del Paganuzzi, e riconoscemmo d’accordo che io facessi un appello pubblico per avere dalla generosità di amici i mezzi per soddisfarli. Per mia parte, non lo disse a V. M. per non essere noioso, ma devo a persona che me li diede nel periodo dal giugno all’ottobre 1888, lire 6.000 senza contare gli interessi e ho altre 7.000 circa di debiti tutti relativi al giornale, senza contare che l’anno scorso in novembre mi sono impoverito di tutto il mio, anche del necessario per vivere. Ora, mi sono quotizzato il mio onorario per tacitare alcuno dei creditori (sono quattro), ma non so quando riuscirò a soddisfare e la assicuro, Rev.da Madre, che vivo parcamente colla mia buona sorella e ho dovuto sospendere le spese pur necessarie che sostenevo per tre miei nipoti orfani e poveri e per una sorella vedova priva di tutto e con due figli. Nessuno può conoscere che sorta di sacrifici e di amarezze ho io provati e non parlo più con nessuno perché l’umiliazione di rifiuti non mi turba, ben sapendo che honestas et paupertas a Deo sunt, ma non so reggere alla umiliazione di non essere creduto o di sentirmi dire che della mia povertà è mia la colpa.

Il vescovo stesso di Pavia mi ha detto: “Se non potete aiutare i nipoti, non aiutateli” e sono orfani e si soccorrono gli schiavi d’Africa, questa frase mi ha rotto il cuore.

Ora, l’appello pubblico mi è gravissimo, mentre prima mi pareva facile. Sia fatta la volontà di Dio. Temo però che i Bonacina non staranno tranquilli; e, per mia parte, non farò atti compromettenti, ma quasi sono sul desiderare che mi si chiami ai tribunali, per farla finita, e là dimostrerò che

I – vendendo la casa a don Luigi io ho tutto soddisfatto, e che

II – i Bonacina devono rispondere a me di somme ingenti, presso a 50 mila lire. Ci sarebbe scandalo, ma, infine, sarei liberato da una persecuzione inqualificabile, e anche non guadagnandovi nulla per pagare i debiti che la condotta dei Bonacina mi ha fatto addossare, avrò dimostrato la mia onestà e… la mia ingenuità di essermi fidato di persone che tutto hanno dissipato, e che fin all’ottobre 88 ripetevano di possedere i mezzi di pagare ogni debito del giornale.

Ora sto a quanto ella, Rev. Madre, vorrà fare e significarmi. Io la raccomando Lei e le case sue nella Santa Messa; Ella faccia pregare per me le anime pie che le fanno corona.

Di V. M. Reverenda Signora,

Dev.mo P.te Davide Albertario»[1].

Anche i fratelli Bonacina accettarono di buon grado la mediazione di Madre Laura che volle impedire, con il suo gesto così concreto e caritatevole, lo scandalo di vedere contrapposti in un processo tre sacerdoti. Obiettivo di Madre Laura era oltretutto non solo l’accomodamento dei rapporti giuridici, ma anche la riconciliazione degli animi e delle coscienze. Le scriveva ancora don Albertario il 19 febbraio 1890:

«M. R. Madre,

quello che Ella mi dice con suo venerato biglietto mi conforta. Mi conforta che Ella faccia le cose nella forma migliore, cercando la realtà delle cose e tacendo di me.

Mi conforta che anche agli altri creditori, provvederà. Ella, a cose finite, mi dirà quello che potrà dirmi, onde io per Lei, le sue comunità, gli altri benefattori possa celebrare la S. Messa in ringraziamento. Ora me le presento riconoscente e ne la prego di raccomandarmi in quello che posso. Ella mi dice di perdonare. Mi fa male che ancora Bonacina non sappia contenere la lingua; mi fa male che dica attorno  che finite le cose con Lei farà, dirà, ecc. ecc., però, tanto che sia il male che posso sentire per simili leggerezze, il mio dovere è di perdonare e il mio cuore mi invita alle dolcezze del compimento di un tal dovere; onde tutto dimentico e mi riservo intatto il diritto di mia difesa senza rancore»[2].

Invitato da Madre Laura a placare i sentimenti di astio e risentimento, don Albertario accolse l’invito e si dimostrò cedevole e pronto a perdonare.

Più difficile fu per Madre Laura intercedere presso i fratelli Bonacina: benché accogliessero il suo intervento, essi si ritenevano lesi nei loro interessi relativi alla nuova gestione del giornale, mentre don Albertario ed i Figli di Maria non consideravano affatto esistenti quei diritti pretesi.

Con l’appoggio del Vescovo di Pavia e la benedizione del Papa, Madre Laura lasciò che le cose venissero gestite da un arbitro e lei di fronte alla giustizia civile rappresentò don Albertario ed i Figli di Maria.

L’arbitro fu scelto nella persona di don Domenico Manzoni, il quale il 21 aprile 1890 emise la sentenza senza sottoporla, come invece si era rimasti intesi, al giudizio del vescovo di Pavia, Agostino Gaetano Riboldi. La sentenza colpiva proprio Madre Laura a beneficio dei Bonacina: prima del 31 dicembre 1891 avrebbe dovuto versare 34.500 lire in quattro versamenti a don Carlo e tre a don Luigi.

La questione era davvero seria, tanto da far intervenire mons. Alessandro De Giorgi, superiore della Famiglia del Sacro Cuore dal febbraio 1891. Egli decise di ricorrere alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Religiosi, dietro consiglio del vescovo di Pavia, mentre il 12 ottobre 1893 si rivolse direttamente alla Santa Sede per avere consiglio, facendo presente che Madre Laura aveva agito in obbedienza al Santo Padre: «col permesso della S. Sede, contenti di aver contribuito ad evitare scandali e forse assicurare in diocesi l’esistenza di un giornale troppo necessario»[3]. Veniva però sottolineato il fatto che la Famiglia del Sacro Cuore non aveva possibilità economiche sufficienti per assolvere alla richiesta dell’arbitro.

Dopo diverse manovre e garbugli legali, venne anche interpellato l’arcivescovo di Milano, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, il quale ordinò che si stabilisse una precisa commissione di consulta per esaminare la vertenza a partire dal suo inizio.

Il 15 novembre 1897 la commissione arcivescovile dichiarò Madre Laura libera da ogni obbligo verso i fratelli Bonacina poiché alla base della sentenza emessa dall’arbitro don Manzoni vi era un errore giuridico che inficiava la stessa sentenza emessa.

Ma la dolorosa questione proseguì fino al 1906.

I Bonacina vennero soddisfatti nei loro presunti diritti per quanto concerne l’«Osservatore Cattolico», ma rimaneva aperto il capitolo della riscossione di £. 3.300 della vendita dell’immobile di San Celso. Tuttavia le pretese vennero rinviate anche perché don Luigi, nominato parroco di Brivio, aveva necessità dell’ausilio delle suore di Madre Laura per le sue opere parrocchiali. Egli si fece avanti perché non voleva rinunciare alle obbligazioni firmate dalla fondatrice; ma la grave situazione finanziaria in cui versava la congregazione, le divergenze di vedute con il nuovo superiore dell’istituto, mons. Filippo De Giorgi, subentrato al fratello mons. Alessandro nel 1898, indussero Madre Baraggia a rinunciare al suo incarico di superiora generale.

Gravi problemi dovette perciò affrontare Madre Laura sia come persona, sia come responsabile di una congregazione giovane. È indubbio che il generoso gesto, compiuto unicamente per il bene della Chiesa, affinché non si verificassero scandali pubblici fra sacerdoti per ragioni di denaro, provocarono importanti conseguenze all’interno della Famiglia del Sacro Cuore, compromettendo le stesse finanze interne, soprattutto dopo la sentenza dell’arbitro don Manzoni.

Le superiore delle diverse case della congregazione si impegnarono a fare esplicita richiesta di aiuti economici a parenti e conoscenti, i quali dapprima non si negarono, ma dopo breve tempo iniziarono ad esigere la pronta restituzione di ciò che avevano prestato, preoccupati anche dal fatto che la questione de l’«Osservatore Cattolico» si prospettava lunga e complessa. «Spesso, non potendo le suore rifondere i prestiti e pagare i debiti, i creditori finirono per esigere quanto loro dovuto attraverso i tribunali. Tutto questo non giovò certo al buon nome della congregazione che veniva sempre più assorbita nella questione»[4].

Tutte le persone che in un primo momento si erano impegnate a sostenere la causa di Madre Laura a poco a poco si ritirarono, lasciandola in balia di una situazione difficilissima sia dal punto di vista etico sia economico.

In una lettera inviata a mons. Alessandro De Giorgi, ella scrisse, con amarezza e pena, spiegando come si era fatta coinvolgere per assolvere un dovere di misericordia tutta evangelica: «Avevo fidata speranza in una mia amica, ma con suo dispiacere trovò opposizione nel fratello […]. Non mi trovo di poter fare con denari dell’Istituto, avendo dovuto quest’anno pagare la casa di Milano tutta in pochi mesi, invece di pagarla in quattro anni come eravamo d’accordo, per risparmiare processi e citazioni da parte dei creditori della cessata società Osservatore Cattolico e ciò per impedire scandali e dicerie in Milano»[5].

A questo si aggiungevano difficoltà derivate dalle posizioni delle singole case dislocate in paesi i cui parroci, spesso, avevano promesso di provvedere al mantenimento delle suore, scaricando poi ogni responsabilità sulla Congregazione. E Madre Laura, con coscienza retta e sguardo sempre rivolto all’insù, scriveva: «Potrei oggi dire a tre parroci e ad un preposto: avete chiesto a Sua Eccellenza le suore, promettendo casa e vitto e poi la casa dovette farla l’Istituto e l’Istituto mantenere le suore; […] ma sono sacerdoti ed io non debbo far loro del male. È meglio infatti che passi io per una donna spensierata e colle mani vuote che disonorare ministri del Signore…» ed ecco che spiega la ragione di un atteggiamento tanto eroico: «Sì stiano pure aperte anche le case, purché si salvi qualche anima e si procuri la gloria del Signore, sia pur fatto a spese del povero onor mio»[6].

Da Brentana Madre Laura fece sentire la sua voce mite, ma ferma: «Nei miei superiori», scrive infatti lapidariamente e imperativamente, «amo trovare schiettezza!»[7].

Nel dialogo epistolare intercorso fra Madre Laura e mons. Alessandro De Giorgi, conservato nella Casa Madre della Famiglia del Sacro Cuore, possiamo leggere passo passo tutto il travaglio provocato da questa vicenda e constatare come Madre Laura rimase davvero sola ad affrontare una battaglia più grande delle sue forze; tuttavia, sorretta dalla presenza del Signore e dalla incessante preghiera, uscì da quella prova più temprata di prima.

A volte lo sconforto l’assaliva e la sua forza ed il suo sostegno era sempre l’amato Gesù, a cui ricorreva anche nella notte. Scriveva al superiore mons. Alessandro: «Egli è certo mi avrà scusata dell’atto di debolezza compiuto ieri di essermi lasciata vincere dalla commozione. Ho domandato perdono anche a Gesù in questa mattina nella S. comunione. Fu causa forse l’essermi lasciata avvilire troppo in questa settimana. Ho avuto occasione di vedere persone che si erano impegnate con gravi sacrifici ed umiliazioni per altri istituti, io ne ringraziai il Signore, ma mi parve che per la nostra amata Congregazione nessuno si impegna a cercare qualche aiuto, ed è lasciata senza protezione.

Vi sono interessi seri da difendere, se no ne vengono certo dei danni, ma nessuno se ne cura. I cattivi sparlano, nessuno la difende. Io non posso né parlare né difendermi e non faccio che pregare, pregare anche notti intere […]. Non so più cosa fare. Che  ne avverrà?»[8].

Affidandosi unicamente alla Provvidenza, obbedì all’arcivescovo di Milano, il cardinale Ferrari, che le chiedeva di riaprire la casa di Oggiono, dalla quale Madre Laura aveva ritirato le sue suore. Ma l’arcivescovo voleva la Famiglia del Sacro Cuore per il bene della popolazione: «Sono stata da Sua Eminenza […] la casa di Oggiono la vuole assolutamente e me la chiese prima e avendogli io esposta qualche difficoltà, mi disse che per questa volta facessi un’eccezione, stante l’urgenza e la gravità delle cose. Mi benedisse e mi disse di riaprirla per obbedienza»[9] e Madre Laura concluse in questi termini la lettera scritta a mons. Alessandro  il 28 luglio 1897: «Mi uniformo ai divini voleri e per la ventesima volta mi abbandono ad una nuova fondazione, perché è come fosse nuova, appoggiata unicamente alla Divina Provvidenza non essendovi nulla di stabile e di sicuro»[10].

Nell’autunno del 1897, vedendo che la situazione amministrativa della congregazione si aggravava sempre più, mons. Alessandro De Giorgi, nominato rettore del Seminario di Monza e dunque impossibilitato ormai a seguire assiduamente la Famiglia del Sacro Cuore, decise di lasciare il mandato di superiore al fratello don Filippo, uomo pratico e risoluto. Il buco finanziario creatosi all’interno dell’Istituto era enorme e don Filippo scelse la via drastica: con tre provvedimenti riuscì a risanare la situazione. Con il primo chiedeva nuovamente aiuti economici a quei benefattori che non si erano tirati indietro. Il secondo riguardava la richiesta che le suore delle diverse case fossero retribuite nei vari servizi che prestavano presso le parrocchie e in mezzo alla popolazione, negli asili, nelle scuole elementari, nelle scuole di lavoro, negli oratori… Il terzo riguardava la vendita di alcune case della congregazione a persone facoltose e caritatevoli che avrebbero lasciato alle suore la possibilità di abitarvi e di continuare le loro opere (eventualmente dando alla congregazione, nel futuro, l’opportunità di riscattare gli immobili).

Queste scelte crearono allarmismo fra le suore, in più Madre Laura non poteva accettare che i servizi delle sue figlie venissero retribuiti, poiché ciò era contrario alla Regola che sottolineava la totale gratuità delle mansioni svolte. Le suore erano disorientate e drammatica fu ritenuta la richiesta di don Filippo affinché si ritenessero dispensate dall’ora di adorazione per avere più tempo per guadagnare maggiormente: «Ci ha raccomandato molto l’economia, il lavoro, sospendere l’ora di adorazione coll’essere però più fervorose nelle altre opere di pietà; una grande esattezza nel tener nota di quello che riceviamo e di quello che spendiamo. Oh Madre, non so cosa dire!»[11].

L’autorità di Madre Laura, di fronte alle iniziative ed attività di don Filippo, che creava intorno a lei sfiducia e diffidenza, perdeva intanto terreno: «Sono giudicata finta, bugiarda, ingiusta, disobbediente, capricciosa, superba, vendicatrice, scialacquatrice, inquieta, intemperante, pazza […] Ho contro di me tutti. Accetto dalla Tua mano tutto o Gesù mio e come godo nel farti compagnia, disprezzato, abbandonato, deriso»[12].

Nonostante tanto patire, riconobbe l’abilità di don Filippo nel risanare i bilanci della congregazione e propose di farsi da parte. Nell’estate del 1898 ricevette la proibizione di comunicare direttamente con le suore: fu un colpo durissimo, al quale risposero con sofferenza anche molte sue figlie, come per esempio la comunità di Paderno d’Adda che il 30 ottobre scriveva a Madre Baraggia: «Intendiamo cosa vuol dire non vedere, non parlare, non ricevere spesso un suo scritto. Povera madre! Quando sarà che come prima potremo vederla e parlarle?»[13].

Il 23 marzo del 1899 scriveva, invece, suor Albina Dosso da Arcore: «Povera madre, quanto mi fa compassione; comprendo benissimo quanto è dolorosa la sua posizione, ed in più non vi è nessuna speranza e principio tranne che di un miracolo»[14].

Madre Laura, il 15 agosto 1899, decise perciò di rinunciare alla carica di superiora generale della Famiglia del Sacro Cuore di Gesù, in quanto non era più possibile trovare un accordo, un compromesso con il superiore «su certe proposte ingiuste e sbagliate e io farei peccato ad approvarle»[15].

Il cardinale di Milano accolse le sue dimissioni ed il suo segretario don Giovanni Rossi informò la Madre augurandole «che la sua umiliazione ed il suo sacrificio torni in bene all’Istituto da lei fondato e da tanti anni diretto»[16]. Madre Laura fu nominata superiora della comunità di S. Francesca Romana, in Milano; il lavoro nella parrocchia non mancava, ma le condizioni finanziarie in cui le suore erano costrette a vivere e soprattutto lo spazio riservato alla comunità (pochi vani dietro l’abside della chiesa) persuasero i superiori a ritirare le religiose che nel settembre 1902 rientrarono a Brentana.

Fu Madre Maria Anna Stucchi ad essere eletta come superiora generale dal capitolo convocato nel mese di ottobre; rimase in carica fino al 5 luglio 1903, giorno della sua morte.

Venne nuovamente convocato il capitolo generale per nominare la nuova superiora e il 3 settembre, a pieni voti, fu eletta Madre Laura. Grande era da parte sua il timore di riprendere in mano la congregazione, ma a darle il coraggio era, ancora una volta, lo Sposo: «Caro e dolce Gesù, hai voluto affidarmi ancora il compito che avevo lasciato a mezzo, fiat! fiat. Ora è reso il doppio più difficile. Se prima avevo solo da fare, ora ho da disfare e fare cogli animi tutt’altro che disposti e preparati. Ma Tu, Amor mio, farai tutto Tu, sai bene che sono buona a nulla. In Te, nella cara Madre SS. e nel caro padre S. Giuseppe ho posto ogni mia fiducia e tutto spero. Non mi rifiuterò a qualunque umiliazione e sacrificio pur di fare la tua S. Volontà»[17].

Continuava ad abbandonarsi nelle braccia di Dio, come aveva sempre fatto. Tutto aveva superato alla luce della fede, della speranza e della carità. Aveva scritto: «Sono oppressa, Gesù mio. Nulla mi importa d’essere privata di tutto. Soffro perché non posso più giovare ed aiutare le mie figlie. È vero che la proibizione di comunicare con loro mi fa patire, ma pazienza. La divisione successa tra loro per causa di chi crede far del bene, mi fa subire un vero martirio. Il sentirmi dire da chi, per tanti anni, mi ha tenuto il Tuo luogo, che fui una povera illusa, ingannata e che ho ingannato Lui, mi fa tremare»[18].

Quel tremore però aveva la virtù di farla avvicinare maggiormente a Gesù sofferente nella Passione e così, nel suo Getzemani, preferì il silenzio all’autodifesa, la preghiera ed il digiuno al sostenere le proprie ragioni, in una situazione causata unicamente dal suo slancio caritativo.

Scelse di perdonare: «Ti prego, Gesù caro, rendi centuplicata ricompensa del bene che hanno fatto all’anima mia tutti quelli che mi hanno dato occasione di patire per Te»[19]. Perciò, con coraggio e fortezza poteva esclamare: «Questo Cuore dolcissimo sa che sebbene ho fatto tutto con mille imperfezioni, quel che ho fatto per sua grazia fu diretto all’unico fine di consolarlo e sollevarlo e di procurare un po’ di bene alle anime. Ottenuti questi fini, le umiliazioni e  i sacrifici sono le più care grazie»[20].

La tempesta si era placata, le onde si erano distese, il momento della prova era superato. Nel 1905 si era finalmente conclusa la vertenza giuridica con i fratelli Bonacina e Madre Laura potè completamente dedicarsi alla vita della Famiglia del Sacro Cuore, restituire l’unità all’interno della congregazione, ricondurre alla concordia, riportare la piena fedeltà alla Regola e seguire l’iter della sua approvazione pontificia, proseguendo il paziente lavoro di revisione.

 


[1] Lettera di Don Davide Albertario a Madre Laura, Milano 26 novembre 1889 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 4/17

[2] Lettera di Don Davide Albertario a Madre Laura, Milano 19 febbraio 1890 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 4/18

[3] Relazione di Don Alessandro De Giorgi alla Sacra Congregazione del Vescovi Regolari, Saronno 12 ottobre 1893 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 4/60

[4] Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, op. cit. pag. 356

[5] Lettera di Madre Laura Baraggia a don Alessandro De Giorgi, 20 aprile 1891 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 3/231

[6] Lettera di Madre Laura Baraggia a don Alessandro De Giorgi, Brentana 12 gennaio 1892 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 3/235

[7] Ibidem

[8] Lettera di Madre Laura a don Alessandro De Giorgi, Brentana, 23 ottobre 1896 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 3/333

[9] Lettera di Madre Laura a don Alessandro De Giorgi, Brentana, 28 giugno 1897 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 3/356

[10] Ibidem

[11] Lettera di Suor Albina Dosso a Madre Laura Baraggia, Arcore 26 marzo 1898 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 5/18

[12] Diario Spirituale, pagg. 179-180

[13] Lettera della comunità di Paderno d’Adda a Madre Laura Baraggia, Paderno 30 ottobre 1898 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 5/34

[14] Lettera di Suor Albina Dosso a Madre Laura Baraggia, Arcore 23 marzo 1898 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 5/39

[15] Minuta di lettera di Madre Laura Baraggia al cardinale Carlo Andrea Ferrari, Brentana 15 agosto 1899 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 3/412

[16] Lettera di don Giovanni Rossi a Madre Laura Baraggia, Milano 24 agosto 1899 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 5/130

[17] Diario Spirituale, pag. 198

[18] Ibidem, pag. 180

[19] Ibidem, pag. 191

[20] Lettera di Madre Laura Baraggia a don Alessandro De Giorgi, Milano 23 novembre 1897 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana,  I, 3/362