«Dio solo in tutto e tutto senza riserva per Dio solo»[1] fu il programma di vita di Laura. Un programma che ella scrisse dettagliatamente nella Pasqua del 1867, ma che in realtà aveva già presente fin da piccola, a partire dai quattro anni.
Fu paragonata ad una margherita con il gambo nascosto da un masso, vista sul terreno che sarebbe diventato il luogo della Casa Madre della congregazione da lei fondata, la Famiglia del Sacro Cuore di Gesù. Quella similitudine era corrispondente alla verità: umile e bella come una margherita, Laura avrebbe retto veramente il peso di una responsabilità più grande delle sue forze, con l’aiuto di Colui che l’aveva scelta.
Laura nacque a Sulbiate Superiore (Monza-Brianza) il 1° maggio del 1851, dieci anni prima dell’unità d’Italia, quando il Lombardo-Veneto era ancora sotto il dominio dell’Impero Austroungarico (fino alla seconda guerra d’indipendenza, 1859). Era la nona di dodici figli[2] di Cesare Baraggia (22 luglio 1813-29 luglio 1864) e Giovannina Ravanelli (18 novembre 1816-24 maggio 1874), che si erano sposati il 9 gennaio 1836.
Il padre gestiva un mulino, la madre, donna di grande preghiera e carità, si occupava dei figli e della casa. Nonostante dovesse badare a tutte quelle creature, aiutava sempre gli altri. Scriverà la figlia nel suo Diario Spirituale: «Quante carità vidi fare di nascosto di notte per non farsi vedere. Quante volte vidi la mamma nel cuore dell’inverno venire a casa alla sera senza calze, senza sottane, senza giubboncini», perché si privava del necessario per donarlo a chi aveva meno di lei: era capace di restare senza la coperta di lana del letto per regalarla ai poveri. «La vidi una notte alla una, sola, con un fardello di biancheria andare da una inferma per sollevarla e vegliarla. Quante notti intere vegliò presso povere inferme e senza prendere un poco di riposo e tutto il giorno attendere alla famiglia. Quante volte nelle solennità veniva vicino e ci diceva: “Chi di voi dà il suo pranzo a Gesù?” E quanto godeva quando vedeva i suoi figli che tutti gareggiavano per dar tutti il suo…»[3]. Era questo il clima che Laura Baraggia respirò fin dal principio: una carità evangelica dettata dal cuore che l’accompagnò in ogni luogo ed in ogni tempo.
Sia il padre che la madre sapevano leggere e scrivere: infatti il regime austriaco prestava attenzione all’istruzione popolare e dall’unità nazionale in poi su tutto il territorio venne applicata la legge Casati che definiva l’istruzione scolastica obbligatoria. La famiglia Baraggia era censita come di «mediocre condizione», poiché era proprietaria della casa dove abitavano e di un orto.
Sulbiate Superiore era ed è un piccolo centro rurale della Brianza, situato a sud della linea delle colline che, dal Lambro all’Adda, volge verso oriente. La vita della gente gravitava intorno ai campi da coltivare, all’allevamento dei bachi da seta e attorno alla parrocchia.
A Sulbiate Superiore, in quegli anni, vivevano circa centosessanta famiglie, soprattutto contadine. La famiglia Biffi, che ebbe un ruolo importante nell’esistenza di Laura, era la più prestigiosa e ricca del paese: erano facoltosi possidenti terrieri, residenti a Milano. Molti contadini lavoravano con il contratto di colonia che veniva stipulato annualmente nel giorno di san Martino, l’11 novembre. Spesso il contadino si indebitava con tale formula di contratto, non riuscendo poi a versare la parte di raccolto pattuita; ma la borghesia preferiva, seguendo la tradizione lombarda, beneficiare il debitore piuttosto che cambiare i propri coloni. Accadeva perciò che i proprietari terrieri diventassero i benefattori del paese, come si verificò con la famiglia Biffi.
La vita a Sulbiate Superiore non si diversificava granché da quella condotta nella maggior parte dei paesi italiani: famiglie molto numerose, precarietà quotidiana, fatta di carestie, malattie infettive, epidemie di tifo e colera, pellagra causata dalla cattiva alimentazione, costituita perlopiù da sola polenta, riso e legumi. Alta era la mortalità infantile. E le campane a morto suonavano quasi ogni giorno.
Laura amò la sua famiglia ed ebbe un rapporto tutto particolare e di grande affetto con il fratello Francesco e la sorella Camilla Anna. Il primo, di dieci anni più grande di lei, diventò maestro elementare e, dopo la morte di Laura, rilasciò una testimonianza di grande valore sulla santità della sorella. La seconda, di due anni più piccola, fu assai preziosa nella vita di Laura; di lei scrisse nel suo Quaderno Autobiografico: «Avevo una sorellina minore di me e che era da me amata teneramente più di tutti. Avevo per lei una grande stima, la riguardavo come un angelo perché era di una devozione e bontà singolare. Tutte le volte che mi confrontavo mi vergognavo: era così sempre dolce ed obbediente. Essa pure mi amava di preferenza e quante volte mi correggeva e mi avvertiva. A sette anni era già una donnina matura per il cielo»[4]. Camilla Anna morì proprio a quell’età per «angina cruppale»[5]. Le due sorelline erano molto simili per carattere: riservate, timide e schive, di indole portata alla solitudine e al silenzio. La più piccola influì moltissimo sulla più grande, tanto da indirizzarla sulle priorità da scegliere: «Ella giocava pochissimo. Una volta che, per pura compiacenza, giocava con una ragazza caddero tutte e due. Io corsi a rialzarle, e prima sollevai la compagna. Questa, non so il perché si credette offesa e mi diede uno schiaffo; rimasi un po’ mortificata non sapendo il perché, ci pensai un momentino e poi per amore del Signore le andai vicino e la baciai. Quest’atto così piccolo, si degnò gradirlo il buon Dio e da quel momento non trovai più gusto nel gioco, mi diedi di più all’orazione, alla lettura di libri santi»[6].
La precoce scomparsa dell’amata Camilla Anna segnò fortemente e profondamente Laura, che perse non solo una compagna di giochi, ma anche un modello di virtù.
Preghiera, lavoro, senso del dovere: questa era la pedagogia di Casa Baraggia, una casa patriarcale sempre molto viva, anche perché, oltre ai genitori ed ai figli, erano presenti i nonni, gli zii e i cugini. A volte la vivacità dei fratelli maschi disturbava la riservatezza e la quiete di Laura, propensa alla solitudine e alla meditazione, ma in quel nido era perfettamente a suo agio: «Pur essendo in molti, l’ambiente era sereno, vi regnava la vera quiete domestica; fra le mura di casa, in seno alla sua numerosa famiglia, Laura si sentì sempre protetta e sicura, al punto, come lei stessa avrebbe confessato, di non voler uscire neppure quando questo si rendeva necessario»[7].
Il primo dono che Laura considerò aver ricevuto dal Signore fu quello di aver avuto genitori cattolici e praticanti, «di principi giusti papali» e «veramente santi». Nella loro casa erano severamente proibiti giornali, libri o pubblicazioni che non fossero di stampo cattolico. Padre e madre inoltre non permettevano che i loro figli andassero in casa d’altri e che si formassero degli amici se prima non li avevano conosciuti. «Non li udii mai dir male d’altri; li vidi moltissime volte rendere bene per male ricevuto, anzi la mamma una volta ci diede un eroico esempio coll’andare a fare da infermiera per otto giorni ad una donna ammalata, fare da madrina ad un bambino della medesima al S. Battesimo, il marito della quale l’aveva calunniata e portato dei gravi danni, l’aveva minacciata fin della vita per falsi rapporti. Quest’atto generoso della buona mia mamma mi fece tanto bene, che mi fece decidere a rendere sempre bene per male per tutto il tempo della mia vita. E di tutto questo bene ne ringrazio infinitamente il Signore. Oh quanto bene possono fare gli esempi dei genitori»[8].
Laura, come tutti gli altri figli, venne battezzata il giorno stesso della nascita nella chiesa parrocchiale di S. Antonino in Sulbiate, nella località detta “di Brentana”. Era una scelta della mamma Giovannina, alla quale venne fatta l’osservazione che i neonati potevano patire portandoli in chiesa, distante da casa un chilometro, soprattutto se la stagione era invernale; lei però rispondeva che amava così tanto le sue creature da pensare più al bene della loro anima che ai rischi materiali.
Una mamma forte e decisa, che non amava carezze e baci, considerati atteggiamenti sdolcinati. Una mamma attenta a dividere le camere da letto fra figli e figlie. Una mamma ed un papà che pregavano sui loro inginocchiatoi e usavano benedire i propri figli con il crocifisso. Davvero sposi, davvero genitori.
Meraviglia la concordanza tra questo stile di famiglia e l’affermazione di Benedetto XVI nell’omelia della 41ª Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2008: «La famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, è “culla della vita e dell’amore” e “la prima e insostituibile educatrice alla pace”. Proprio per questo la famiglia è “la principale ‘agenzia’ di pace” e “la negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità dell’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace” (cfr nn. 1-5)». La Famiglia Baraggia aveva davvero posto al centro Dio e tutto e tutti ruotavano intorno al Padre: ecco dove prendevano la forza per affrontare i giorni, fatti di fatica e di lacrime, ma anche di gioia cristiana, intrisa di fede, speranza e carità. La Grazia accompagnava papà e mamma nella missione di crescere ed educare tanti figli. «Non li vidi mai di malumore», scrisse più tardi Laura, «mai farsi un’osservazione, un rimprovero, oppure una parola men che rispettosa»[9]. Niente nervosismi, nessun comportamento fuori posto e mamma Giovannina trovava ancora il tempo per aiutare ed assistere i meno fortunati di lei.

[1] Laura Baraggia, Diario Spirituale, pag. 57
[2] Quattro figli morirono prematuramente. Questi i nomi dei fratelli e delle sorelle di Laura Baraggia: Faustino Carlo (1837), Giuseppe Arcangelo (1838-1908), Francesco Primo (1840-1922), Giuseppa Rosa (1842), Maria Luigia (1844-1886), Innocente Gregorio (1846-1909), Chiara Maria (1847-1881), Luigi Giacomo (1849), Anna Camilla (1853), Camilla Anna (1854-1861), Paolo (1856-1918).
[3] Diario Spirituale, pagg. 15-16
[4] Diario Spirituale, pag. 14
[5] Cfr. Atto di morte di Camilla Anna Baraggia: orig. Brentana AP, Atti di morte 1858-1878, tav. 40, n. 12, Brentana
[6] Diario Spirituale, pagg. 14-15
[7] Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis, cap. I, pag. 35
[8] Diario Spirituale, pagg. 9-10
[9] Ibidem, pag. 11