La congregazione era cresciuta in numero e in qualità, si era fortificata e si era diffusa sul territorio, ma le prove per Madre Laura non erano terminate. Fra il 1888 ed il 1905 la fondatrice ebbe il momento più difficile e critico della sua esistenza, un’esistenza non certo chiusa in se stessa, ma neppure all’interno della sua congregazione. Lo dimostra l’essersi interessata ad una polemica che, in quel tempo, riempiva le pagine dei giornali e occupava buona parte delle diatribe degli intellettuali, sia religiosi sia laici, quella cioè che colpì proprio un giornale, il quotidiano «Osservatore Cattolico», diretto dall’intransigente don Davide Albertario (1846-1902), che difendeva dalle sue colonne il Papa e la Chiesa dagli attacchi feroci di quella folta schiera di liberali e massoni che aveva da poco unito l’Italia.
«Sia lodato Gesù Cristo. Col fraterno saluto degli antichi cristiani diamo principio alle nostre pubblicazioni. Noi lo indirizziamo ai nostri lettori come un simbolo della nostra Fede e della nostra speranza, come augurio di pace e di prosperità nell’anno che spunta». Con queste parole si presentò ai milanesi nel pomeriggio del 2 gennaio 1864 l’«Osservatore Cattolico».
Di piccolo formato, quattro pagine appena, stampato su quattro colonne, il giornale venne auspicato da monsignor Caccia Dominioni, vicario capitolare di Milano, il quale desiderava uno strumento che si opponesse alle tendenze rosminiane e conciliatoriste di parte del clero milanese.
Avuto l’assenso dal beato papa Pio IX, monsignor Caccia Dominioni (che reggeva la diocesi milanese in quanto il governo piemontese non concedeva l’exequatur affinché monsignor Paolo Ballerini, rigidamente anti liberale, eletto alla Sede di Sant’Ambrogio dal Papa, potesse prendere possesso della diocesi a lui affidata) stanziò la somma di lire 10.000 a fondo perduto per dare vita al giornale.
La persecuzione ai danni della Chiesa era palese e durissima: sacerdoti, vescovi e arcivescovi, che si opponevano alle idee liberali, venivano spesso catturati, imprigionati, a volte uccisi. Ben cinquanta sedi vescovili, nel 1866, erano vacanti in Italia e si cercavano candidati non sgraditi al governo anticlericale subalpino.
Fondatori, proprietari e direttori dell’«Osservatore Cattolico» furono monsignor Marinoni e don Felice Vittadini. I problemi tra il giornale e la Curia Milanese incominciarono quasi subito.
Durante gli anni dell’episcopato milanese di monsignor Nazari di Calabiana, di spiccati sentimenti liberali e conciliatoristi, i rapporti con l’«Osservatore Cattolico» furono sempre molto tesi, al limite della rottura, particolarmente quando subentrò alla guida del giornale il giovane e battagliero sacerdote milanese don Davide Albertario.
Ad alterare ulteriormente i rapporti tra l’arcivescovo e l’«Osservatore Cattolico» furono gli attacchi che dal 1869 al 1870 il giornale milanese portò contro coloro che non appoggiavano il dogma dell’infallibilità del Papa, durante la preparazione del Concilio Vaticano I. Nazari di Calabiana e monsignor Moreno, vescovo d’Ivrea, erano tra i vescovi italiani a non sostenere l’infallibilità papale.
Dopo questi attacchi contro gli anti infallibilisti, monsignor Nazari di Calabiana convocò a Roma i responsabili del giornale, rimproverandoli aspramente e cercando nel frattempo d’ottenere la soppressione della testata da parte del Sommo Pontefice. Pio IX, al contrario, rilasciò un Breve di elogio per l’operato fino ad allora svolto dal quotidiano. Monsignor Nazari di Calabiana si alterò moltissimo, pertanto peggiorò la dura diatriba con il giornale, che andò avanti per i rimanenti ventitré anni del suo episcopato ben conscio che nulla avrebbe potuto fare finché Pio IX era in vita.
«Con il Papa e per il Papa» era il motto di Madre Laura, la sua divisa, come affermava il primo biografo della fondatrice, l’oblato missionario padre Giustino Borgonovo, il quale precisava: «Vissuta in tempi turbolenti nei quali il liberalismo rivoluzionario spadroneggiava in Italia, manomettendo i sacri diritti della Chiesa e del Papa, essa non solo si tenne fedele ai principi sani della dottrina Cattolica più pura, ma sempre volle far professione di incondizionata adesione alle decisioni, alle direttive, agli stessi desideri del S. Padre il Papa. E quando il modernismo anche da noi cercò di corrompere l’integrità della fede, seminando errori e scalzando i fondamenti della pietà e della vita cristiana, la Madre, col suo finissimo intuito, ne ravvisò gli iniqui intendimenti e coraggiosamente si fece crociata in difesa del sacro patrimonio della fede e della tradizione cattolica apostolica romana e papale. Si gloriava che i suoi genitori fossero non solo buoni cristiani ma cattolici di perfetto spirito romano. I Padri da essa preferiti furono sempre i Gesuiti, e perché il P. Terzi era di loro, e molto più perché i Padri della Compagnia sono l’avanguardia dell’esercito papale e fanno voto speciale di obbedienza al Vicario di Gesù Cristo»[1].
Per le sue suore, quali guide per gli Esercizi Spirituali e per le conferenze, voleva in particolare Gesuiti zelanti e dotti. «Educata alla scuola del santo Parroco Ercole Riva, e dei Padri Gesuiti, valendosi dell’età e dell’esperienza fatta, era abilissima nel catechizzare non solo le Suore, ma anche i secolari e persino gli ecclesiastici sull’amore al Papa e sull’adesione ai suoi insegnamenti»[2]. Poi racconta in prima persona padre Giustino: «Quando io, prima chierico teologo poi prete ed oblato missionario, mi recava alla Casa Madre a trovare mia sorella Sr. Bianca, naturalmente mi incontrava colla Madre M. Laura, e ricordo che tutte le volte, infallibilmente essa volgeva il discorso sulla Chiesa e sul Papa, sul dovere di far nostri i dolori e le gioie del Vicario di Gesù Cristo. Chierico mi esortava a stare unito di mente e di cuore al Papa. Prete Oblato mi esortava a farmi vindice e paladino dei principi papali. E ciò la Madre faceva non colla posa di superdonna o colla invadenza di pettegola, ma con una spontaneità così nobile e così retta, che conquideva […] Diceva non frasi comuni, ma verità sì belle, osservazioni sì argute a proposito di avvenimenti politici, di allocuzioni papali, di modernismo ecc. che migliori non le avrebbe dette un Teologo. Nella Madre la pietà, lo spirito di fede, il senso di Gesù Cristo, meravigliosamente supplivano la scienza teologica; la convinzione e lo zelo con cui parlava soggiogavano la mente e il cuore di chi l’udiva fosse pur Prete»[3].
Comunicò a tutte le sue suore il forte legame al Vicario di Cristo in terra e volle che fosse nota caratteristica della sua congregazione: lo affermava, lo ribadiva, lo scriveva, lo dichiarò formalmente nella Regola. In Comunità non ammetteva libri, riviste o giornali di tipo profano o con idee religioso-moderniste, perciò decise di abbonarsi alla testata di corrente pontificia, l’«Osservatore Cattolico», per essere più partecipe alle vicende della storia e della vita della Chiesa, del Vaticano e del Papa.
Le nubi si addensarono quando Pio IX morì. Non si sapeva come avrebbe reagito il suo successore, Leone XIII, alle insistenti petizioni del Calabiana sulle sorti dell’«Osservatore Cattolico». In risposta al presule milanese, il Santo Padre nominò una commissione perché vigilasse sul giornale, composta dall’ex direttore dell’«Osservatore Cattolico», monsignor Marinoni, dall’ex redattore capo del medesimo giornale e da monsignor Mantegazza, amico degli intransigenti anticonciliatoristi.
I presuli particolarmente bersagliati dagli articoli apparsi sulle pagine del giornale furono monsignor Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, monsignor Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, e monsignor Luigi Nazari di Calabiana, arcivescovo di Milano, mai nominato cardinale.
Gli attacchi raggiunsero toni assai pesanti, tanto che il Bonomelli scrisse allo Scalabrini «Laici docent et Episcopi docentur» («I laici insegnano e i vescovi sono istruiti»). I tre vescovi ricorsero a Roma per chiedere nuovamente la soppressione dell’ «Osservatore Cattolico».
In quel momento d’intense trattative internazionali, il Papa non ebbe il coraggio di rendersi ostile ai tre vescovi più rappresentativi dell’Italia settentrionale e chiese infine all’Albertario di pubblicare le scuse a detti presuli; ma non permise assolutamente la chiusura della testata. Monsignor Geremia Bonomelli ripartì all’attacco, chiedendo a Roma, ancora una volta, l’immediata soppressione del giornale, giacché gli articoli pubblicati mancavano di spirito di Carità e di comprensione fraterna. La pubblicazione milanese riuscì a salvarsi solo grazie all’intervento di tre cardinali decisamente anti liberali: Sarto, Ballerini e Parocchi.
Nello stesso periodo l’Albertario fu querelato da Antonio Stoppani, sacerdote filo-liberale e conciliatorista, per aver attaccato «con toni infamanti» le posizioni rosminiane. Il tribunale governativo, che non attendeva altro per mettere in difficoltà il giornale “papalino”, lo condannò a pagare 44.000 lire a favore dello Stoppani, insieme al comproprietario don Enrico Massara.
Dopo il ritiro di don Massara dal giornale e la sua entrata fra i Gesuiti, don Albertario, vedendo minacciata la sua testata, si rivolse ad amici e sostenitori, i quali gli fecero pervenire generose offerte (20 mila lire in tutto), sebbene non sufficienti a coprire tutti i costi; inoltre la sentenza di appello del 23 febbraio 1888 aggravò la situazione a causa delle nuove spese processuali che vennero a gravare sulle spalle di don Albertario.
I fratelli Bonacina, amministratori della testata intransigente, cui l’Albertario aveva ceduto l’edificio dove aveva sede il giornale, si ritirarono dall’incarico tornando al loro paese d’origine, Oggiono, e lasciandolo con sole 17 lire di cassa ed un folto gruppo di creditori. L’amministrazione, che denotava gravi ammanchi, venne rilevata dai Figli di Maria (gli Artigianelli).
L’Albertario, ottenuto il placet dal Papa continuò la sua lotta antiliberale. Fu arrestato a seguito dei moti del 1898, soffocati nel sangue dal Generale Bava Beccaris.
Ebbene, che ruolo ebbe Madre Laura Baraggia in questo vivacissimo e tumultuoso capitolo della storia della stampa cattolica?
Nel 1888 la fondatrice aveva aperto, proprio ad Oggiono, una casa delle Suore della famiglia del Sacro Cuore e proprio per tale ragione era venuta in contatto con i fratelli Bonacina, che ben presto stimarono l’opera di Madre Laura. Don Carlo Bonacina le propose di acquistare la casa di corso San Celso a Milano, rilevata l’anno prima da don Albertario per farne la sede dell’«Osservatore Cattolico». Madre Laura non accettò la richiesta, in quanto non si trovava in condizioni economiche favorevoli per affrontare la spesa di 100 mila lire, prezzo complessivo dell’immobile. Tuttavia don Luigi Bonacina insistette, affermando che sarebbe stato possibile aprire un mutuo con la Cassa di Risparmio di 50 mila lire, «riguardo al resto per completare la somma, mi disse, combineremo con delle obbligazioni a lunga scadenza»[4]; inoltre i fratelli Bonacina assicurarono il loro appoggio alla nuova casa delle Suore a Oggiono. Così, trascorsi cinque mesi di riflessione, Madre Laura accettò le condizioni dell’acquisto, anche perché «aveva per la detta casa una certa simpatia ed affezione»[5].
Fu proprio con l’acquisto dell’immobile che venne a conoscenza del contenzioso fra don Davide Albertario ed i sacerdoti Bonacina e da qui decise di porsi come mediatrice fra le parti al fine di evitare uno scandaloso processo. Oltretutto i nuovi amministratori del giornale, i Figli di Maria, assicurarono alla nuova proprietaria della casa di San Celso il 27% sugli utili del giornale.
Grazie alle conoscenze che ormai vantava in Milano, all’appoggio del Vescovo di Pavia e all’incoraggiamento avuto dallo stesso papa Leone XIII durante un’udienza privata avuta alla fine del 1889, Madre Laura decise di intervenire personalmente nella liquidazione dei debiti di don Albertario. Il sacerdote giornalista accolse con entusiasmo la mediazione di Madre Laura e accettò di non avviare alcuna vertenza ai danni dei Bonacina, se questi l’avessero lasciato in pace.
[1] P. G. Borgonovo, La Madre Maria Laura Baraggia, fondatrice della congregazione della Famiglia del S. Cuore di Gesù in Brentana, Scuola Tipografica di San Benedetto S. Giuliano Milanese Abbazia di Viboldone, 1952, pagg. 126-127
[2] Ibidem
[3] Ibidem, pagg. 127-128
[4] Lettera di suor Maria Rosa Bartoletti a Don Alessandro De Giorgi, Saronno, 5 dicembre 1892 – Orig.: Archivio della famiglia S. Cuore di Gesù, Brentana, I, 4/57
[5] Ibidem