Era stata assente da Sulbiate quattordici anni. Tuttavia il paese non aveva subito trasformazioni. Gli abitanti continuavano ad essere circa 1600 e la mortalità infantile mieteva molte vittime. L’economia non andava bene e la coltura del baco da seta era in crisi. Le donne erano madri di molti figli e non si occupavano soltanto della casa e della famiglia, ma lavoravano nei campi e nelle filande… in molti casi anche lo stato sanitario erano carente ed i bambini erano spesso abbandonati a se stessi. Le bambine venivano tolte presto da scuola perché dovevano anch’esse lavorare e il tasso di analfabetismo era perciò elevato. Le parrocchie erano l’unico rifugio sano per una gioventù, sia maschile sia femminile, che, nella vita sociale e lavorativa, trovava la possibilità di corrompersi.
La popolazione di Sulbiate appariva come un campo che chiedeva di essere arato e seminato del buon seme dei valori, della fede, della cura e delle virtù. L’arrivo di Laura e delle sue compagne venne perciò accolto con grande entusiasmo, poiché la loro presenza ed il loro servizio umile e prezioso poteva rappresentare quel concime buono di cui tanto c’era bisogno. Così venne registrato sulla cronaca della parrocchia: «Oggi Baraggia Laura, novizia delle Suore Orsoline di S. Angela Merici con tre compagne venne a stabilirsi in questa parrocchia qual principio di una famiglia che presto sarà di dieci suore coll’intenzione di tenere asilo d’infanzia, scuola di lavori femminili, oratorio festivo per ragazze ecc. Ne sia benedetto il Signore! Già da molti anni mi diede questo desiderio che dapprima fu un pensiero che passò di quasi impossibile esecuzione, poi crebbe in una vera speranza ed ora eccolo una realtà. Deh, che la pianta ora appena qui collocata possa attecchire e dar frutti buoni ed abbondanti»[1].
Presto le compagne divennero cinque, poiché si aggregarono, come aspiranti, le due nipoti che avevano collaborato per sistemare la dimora. Ma la casa, che oggi non esiste più, era molto piccola: al piano terreno si trovava la cucina-refettorio, alcune modeste stanze adibite all’accoglienza di bambini e ragazze ed un piccolo oratorio dedicato al Sacro Cuore. Al piano superiore c’erano le camere delle religiose.
Per la Regola di Sant’Angela Merici non era possibile alle Orsoline tenere nella propria casa Gesù Eucaristia e questo sacrificio fu molto pesante da sopportare: «Che privazione fu mai!» scrisse Madre Laura «Lo sentivo moltissimo, mi umiliavo, piangevo e pregavo. Quando si ha Gesù in casa, in qualunque dispiacere si corre ai suoi piedi, a Lui si confida tutto e la calma torna. Oh! felicità non mai abbastanza apprezzata di avere Gesù con noi…»[2].
Il vescovo di Crema, monsignor Francesco Sabbia, insieme col Parroco don Riva e con don Enrico Sala, decise di andare a far visita al «monasterino» e i commenti benevoli del vescovo rincuorarono Laura[3].
Il piccolo gruppo viveva in comunità in perfetta preghiera e attivamente impegnato nell’apostolato parrocchiale. Seppure ancora novizia, Madre Laura venne riconosciuta come la superiora. Si trattava, in definitiva, di una comunità di suore, che si andavano organizzando in maniera ben diversa dalla vita che conducevano le Orsoline di Famiglia.
Giunse anche la visita desiderata, ma inaspettata, di padre Ottone Terzi, il quale, felice di vedere la sua figlia spirituale qui sistemata insieme alle sue compagne, tenne una breve esortazione sulla vocazione religiosa e sulla bellezza della loro missione.
Qualche timore Laura lo nutriva, ma in lei risuonavano le parole che Gesù le aveva detto al momento di entrare nella casa:«Ecco dove ti volevo, fa’ di seguire le mie ispirazioni» e lei aveva così risposto: «Sì, mio Gesù, eccomi qui ove mi chiamaste, so e conosco di essere buona a nulla fuorché di offendervi. Ma Voi mi voleste qui, farete Voi tutto. Come morta mi abbandono nelle Vostre braccia SS., mi nascondo nel Vostro SS. Cuore. Vivrò giorno per giorno, farò ogni giorno quanto Voi mi comanderete. Ogni mattina verrò a ricevere gli ordini Vostri, ed ogni sera verrò a rendere esatto conto di quanto avrò fatto nella giornata. Non penserò mai ciò che ho fatto ieri, né cosa farò domani. Se avete scelto uno strumento tanto incapace e misero quale sono io per questa Istituzione è segno certo che volete far tutto Voi.
Mio caro Gesù, due soli desideri sento nel mio cuore, di amarvi e di farvi amare, di sacrificare, vita, mezzi, forze per amor Vostro e per la salute del mio prossimo, onde consolare il Vostro dolcissimo Cuore. Fate che per i Vostri S. Meriti, abbiano il loro perfetto compimento.»[4].
Fra i segreti dei santi c’è proprio questo desiderio di vivere in pienezza il presente, come si proponeva Madre Laura, «Non penserò mai ciò che ho fatto ieri, né cosa farò domani». Il qui ed ora era la realtà più importante, senza creare confusioni ed affanni; anche san Giovanni Bosco credeva nello stesso principio, affermando che il passato non è più, il futuro è nelle mani di Dio, mentre il presente è ciò che possediamo per sfruttarlo al meglio per la gloria di Dio, per il prossimo e, dunque, per se stessi.
Laura e le sue compagne incominciarono l’apostolato in parrocchia il 26 settembre: Madre Laura e suor Maddalena Zanotti iniziarono ad insegnare il catechismo ad un gruppo di ragazzine, occupandosi anche dell’oratorio delle Figlie di Maria. Dopo pranzo facevano visita ai malati. A mano a mano che i giorni trascorrevano, si aggiunsero altre occupazioni, sempre più impegnative: dalla cura degli arredi sacri all’insegnamento nella scuola comunale di Brentana; dall’apertura dell’asilo, posto sotto la protezione di Santa Geltrude, con quasi 60 alunni fra bambini e bambine, all’avvio di una scuola femminile per le giovani del paese, posta sotto la tutela di santa Caterina. Madre Laura considerava l’asilo e la scuola di lavoro come le opere proprie della congregazione.
Fu possibile insegnare nella scuola comunale di Brentana grazie all’opera di Adelaide Garghentino, un’aspirante diplomata maestra, entrata in comunità il 14 ottobre. Madre Laura le affiancò Rosa Bartoletti quale sostegno per la scuola di carità rivolta ai bambini poveri.
Ma come conciliava Madre Laura quella neo comunità che stava sorgendo a Sulbiate con la realtà delle Orsoline di cui lei e le sue consorelle facevano parte? Esse seguivano una Regola, datata 10 settembre 1880, ispirata alla Regola delle Orsoline e che in gran parte sarebbe poi confluita nelle Addizioni alla Regola di sant’Angela Merici, composte da Madre Laura fra il 1881 ed il 1882. Tuttavia le divergenze fra il monasterino di Madre Laura e la realtà delle Orsoline di Milano erano evidenti e non potevano essere celate, né taciute.
I superiori delle Orsoline osservavano con interesse, non privo di perplessità, le attività e la vita comunitaria del gruppo di Brentana. Fin dal principio i superiori avevano disapprovato quella partenza, così autonoma ed indipendente, ma, verificando la buona riuscita dell’apostolato parrocchiale, non vollero interrompere l’esperimento della comunità di Sulbiate. Il 21 aprile 1881 ammisero alla professione Laura Baraggia e Antonia Boati, inoltre diedero il benestare per la vestizione ad Orsola Casati e Adelaide Garghentino. Poi, il 21 luglio, don Giuseppe Rossi, Superiore Spirituale della Compagnia, Giulia Vismara, maestra di formazione, e Paola Zucchetti, assistente, si recarono a Brentana per dichiarare canonicamente eretta la Compagnia di Sant’Orsola in Brentana.
Il 24 luglio le sorelle Orsola Casati, Adelaide Garghentino, Maddalena Zanotti e Bianca Piccaluga, emisero la Professione religiosa. Così, unite a Laura Baraggia ed Antonia Boati, formarono il numero legale per la nomina regolare della loro superiora e della maestra di formazione. Furono elette, a pieni voti, Laura Baraggia in qualità di superiora della comunità, Bianca Piccaluga maestra delle novizie, e Maddalena Zanotti assistente.
Don Giuseppe Rossi fu estremamente chiaro nel suo discorso: era stata fondata a Brentana una comunità di Orsoline; disse infatti: «La Compagnia di S. Angela Merici qui ormai fa sentire la sua vita, qui ha dato il primo passo. L’edificio spirituale si costruisce; voi, o buone Orsoline, siete le prime pietre e direi i primi capostipiti di questa cara famiglia. Ah, dunque, siate degne della vostra vocazione; corrispondete alle mire preziose del Signore che qui vi adunò per attendere all’educazione ed istruzione della fanciullezza di questi circostanti paesi. Questa fu la missione della santa istitutrice delle Orsoline e questa deve essere la vostra»[5].
Ma il corso degli eventi prese una diversa direzione. Madre Laura era chiamata a diventare fondatrice e per attuare ciò dovette attraversare mille incomprensioni e mille sofferenze, come lei stessa commentò: «Oh, mio Signore, per quanto io amassi la Compagnia di S. Angela, Voi sapete quanto soffrivo perché io sapevo certo che doveva sortire con gravi dispiaceri ed essere giudicata poco sincera, perché ben altro Voi volevate da me. Ma io dovevo obbedire, pregare, soffrire e tacere. I miei Superiori continuarono nei loro dubbi e non mi dicevano più nulla. Essi pure soffrivano e sola, sola, ne soffrivo, ma Voi, mio Gesù, mi sosteneste con un continuo miracolo. E in mezzo a tanto patire, all’esterno dovevo farmi vedere allegra, giocare e cantare con le ragazze.»[6].
In cuor suo Madre Laura sapeva che la Compagnia di Sant’Angela Merici non le apparteneva, perché «non era in questa […] che Gesù mi voleva»[7]. Con il trascorrere del tempo ed i continui dubbi dei superiori nei suoi confronti, madre Laura entrò nell’angoscia e nel buio più profondo: era manifesto il loro pentimento per averle concesso di allontanarsi da Milano e la mancanza di fiducia nei suoi passi.
Fra l’ottobre del 1880 ed il gennaio dell’anno successivo entrarono nel monasterino molte aspiranti, le quali non si ambientarono nella nuova realtà. Soltanto poche furono costanti e perseverarono, le altre uscirono ed alcune di quelle che fecero ritorno a casa «inventarono calunnie di ogni sorta ed ebbi gravi dispiaceri»[8]. La situazione era davvero difficile; oltretutto, durante l’inverno, si ammalarono le poche sorelle con lei rimaste e sulle spalle di madre Laura ricadde gran parte del lavoro. Di giorno si occupava della scuola di lavoro femminile, dove convenivano tantissime ragazze da molti paesi rurali circostanti e la notte riordinava la casa, la biancheria, oltre che progettare i lavori per le ragazze della scuola. Trascorreva le notti lavorando e stando con Gesù e di tanto in tanto si sedeva per prendere fiato. Capitava, di giorno e di notte, che svenisse per la stanchezza. In più il monastero venne colpito da un grave lutto: il 6 novembre del 1881, dopo sei mesi di infermità, morì Bianca Piccaluga, la compagna più cara a madre Laura, «l’unica a cui potevo dire una parola, domandare un consiglio»[9]. Madre Laura l’aveva assistita con cura materna notte e giorno.
Poi la madre di Bianca aveva preteso la restituzione della dote della figlia. Dolori e problemi si sommarono e si moltiplicarono, intanto Madre Laura s’indeboliva sempre più.
Contemporaneamente si aprì una controversia immobiliare: Laura scoprì che il precedente proprietario della casa che aveva acquistato, il pastore protestante Vincenzo Oggioni, aveva intestato alcune delle terre vendute a lei a falsi possidenti per eludere il fisco ed evitare l’ipoteca sulla proprietà. La faccenda divenne seria: Madre Baraggia fu convocata dai tribunali di Monza, Lodi e Milano. Il contenzioso durò ben quattro anni e, grazie a potenti appoggi, l’Oggioni riuscì ad avere la meglio dal tribunale di Milano, il che costò a Madre Laura ingenti spese e profondo dolore morale. «Fui citata in tribunale e ne ebbi umiliazioni, senza aver data la minima causa. Era Gesù che tutto permetteva per il bene dell’anima mia»[10].
La penosa questione fece prendere a don Riva la decisione di costruire una nuova casa, tanto più che la dimora dove si trovavano le suore era diventata troppo piccola. La prima casa e gli annessi terreni sarebbero stati acquistati dai fratelli e dai cognati di Laura Baraggia, liberandola in tal modo da un immobile che non le era più necessario.
La posa della prima pietra fu fissata per il 6 settembre 1881 e vi andò don Riva con il clero ed il popolo. Madre Laura non c’era: «Gesù volle il sacrificio da me e non permise vi assistessi; quella mattina mi sentivo male»[11].
Quel luogo prescelto per costruire la nuova casa, a Brentana vicino alla chiesa parrocchiale, fu per Madre Laura segno della volontà di Dio. Lei stessa racconta: «Lasciato il terreno incolto, un giorno si trovò tutto fiorito di tante margherite di una bellezza straordinaria […] Ve n’era una di straordinaria grandezza che aveva il gambo sotto una grossa pietra. Il mio buon Padre, ridendo, disse: «Vedi Laura, questa sarai tu, se corrisponderai alle grazie del Signore. Sei tu che sei sotto al peso della responsabilità della Congregazione. Fai di divenire davvero una margherita cara al Cuore di Gesù»[12].
[1] Chronicus P. Brentanae, 36 – Cfr. anche Positio, op. cit. pag. 184
[2] Diario Spirituale, pag. 119
[3] Le effemeridi della comunità riportano, con la data del 20 ottobre 1880, questa visita. Il vescovo di Crema venne in paese per la benedizione di una cappella eretta nel castello dei pii signori Rocchi ed aveva desiderio di far visita al monasterino. Alle 2.00 del pomeriggio giunse la carrozza del Monsignore nel cortile delle religiose; venne accolto con rispetto reverenziale e con gioia. Dopo la visita alla casa ed all’oratorio egli impartì la Benedizione, pregò con le sorelle e rivolse loro un piccolo sermone, congratulandosi per l’opera che avevano cominciato e sottolineandone la necessità ed i vantaggi. Raccomandò loro vivissimamente l’umiltà e la carità vicendevole. Il vescovo, mons, Sabbia era accompagnato dal Parroco di Sulbiate, don Ercole Riva, e dal rev.do Confessore, don Enrico Sala. – Cfr. Alle sorgenti… – Storia della Congregazione dal 1880 al 1930, a cura di F. Consolini, Milano, 2001, pagg. 14-15
[4] Diario Spirituale, pag. 118
[5] Alcune parole alle Orsoline di Brentana per vestizioni e professioni lette dal Sac. Don Giuseppe Rossi il 21 luglio 1881, Milano 1881
[6] Diario Spirituale, pag. 123
[7] Ibidem
[8] Ibidem, pag. 121
[9] Ibidem, pag. 124
[10] Ibidem, pag. 121
[11] Ibidem, pag. 137
[12] Ibidem