La camera dove dormiva Laura era grande e ben arredata, con specchi e mobili di pregio appoggiati alle pareti. Ma a lei tutto questo non importava. L’angolo della stanza che amava maggiormente era quello in cui si apriva una finestra, rivolta verso la chiesa di San Babila. Una sera si era accorta che, attraverso quella finestrella, riusciva a scorgere nella chiesa la lampada che ardeva davanti all’altare del Santissimo Sacramento: questo era diventato per lei l’incontro con l’Amico, tanto atteso per tutte quelle ore; questo era il premio per i sacrifici e gli sforzi della giornata.

Laura trascorreva molto tempo in adorazione, mentre le brillava negli occhi quel lumino lontano, e le ore della notte volavano veloci come minuti.

Ma ci furono anche due persone che segnarono profondamente gli anni milanesi di Laura: la prima conosciuta dentro le pagine di un libro, la seconda incontrata dentro la vita religiosa della città.

Nelle pagine di un libro, anzitutto, Laura trovò una regola di vita.

Le giornate trascorse a Milano erano dure per lei: i signori le volevano bene, il lavoro non la spaventava, ma Laura sapeva che non era nata per quella vita. Le ultime parole di suo padre, la profezia di don Ercole, ma soprattutto la gioia che sentiva quando poteva stare con Gesù, erano tante piccole spie che le indicavano una strada diversa da quella che stava percorrendo per obbedienza. Aveva bisogno di qualcuno che la sorreggesse e la guidasse attraverso quei giorni sempre uguali e sempre estranei per lei. E questa guida fu una donna straordinaria: Bartolomea Capitanio, fondatrice delle Suore della Carità, di cui Laura conobbe la vita attraverso un libro che le venne regalato.

Bartolomea le insegnò un principio importante: nessun giorno è sprecato, se vissuto nell’amore di Gesù! Tutti i gesti quotidiani, piccoli e grandi, hanno significato e valore, perché lo Spirito soffia nella vita di tutti i giorni!

Così Laura comprese che anche quegli anni di attesa, che il Signore aveva voluto per lei, erano alberi che potevano dare frutto.

 

Il secondo incontro, questa volta con un sacerdote in carne ed ossa, avvenne per caso in una chiesa di Milano (ma avvengono davvero per caso gli incontri che segnano la nostra vita?).

Una domenica Laura decise di recarsi all’oratorio della parrocchia di Santo Stefano, poco lontano dal palazzo Biffi, per ascoltare una conferenza su un tema religioso. Si trovò in mezzo ad un gruppo di ragazze e proprio a lei, la più giovane, toccò in sorte di recitare le preghiere iniziali. Prese poi la parola un sacerdote che a Laura parve subito un uomo santo: era padre Ottone Terzi, un gesuita che operava nella chiesa dei Crociferi a Milano. Al suo primo apparire, la ragazza pensò subito che quello sarebbe stato il suo confessore, la guida spirituale che tanto cercava.

Qualche settimana dopo entrò nella chiesa dei Crociferi, lo vide seduto ad uno dei confessionali, si avvicinò, si inginocchiò e iniziò la sua confessione. Padre Ottone rimase molto colpito dalle parole della ragazza:

«Figlia, – le disse – io non ti conosco, ma devo dirti che il Signore ti ama di un amore di predilezione: ha dei disegni su di te!».

Ecco, su quella frase- ripetuta già dalle persone che meglio la conoscevano – prese inizio un’amicizia che aiutò molto la giovane a leggere con chiarezza nella propria vita.

Padre Ottone le insegnò ad accettare il servizio in casa Biffi come una tappa del suo cammino; la invitò ad entrare nell’associazione delle Figlie di Maria, dove Laura assunse incarichi sempre più importanti e gravosi, fino a diventare Presidente. Inoltre la autorizzò a liberarsi da tutto ciò che la giovane riteneva superfluo e vano, lontano dall’umiltà che coltivava nel suo cuore.

E così un giorno, dopo essersi confessata da padre Ottone, Laura entrò dal primo parrucchiere incontrato sulla via e si fece tagliare le lunghe trecce, raccogliendo i capelli sulla nuca con una reticella che porterà per sempre. Tolse gli orecchini e tutti gli ornamenti d’oro e indossò una veste scura e modesta. Infine donò tutti i suoi abiti alle ragazze povere.

I signori Biffi, quando la videro così trasformata, credettero che fosse impazzita; ma poi capirono che quella era una scelta meditata e tranquilla di Laura: l’abito nero che indossava corrispondeva all’umiltà del suo animo.

In fondo, molti e molti anni prima, non aveva fatto così anche San Francesco, il poverello di Assisi?