Il 10 gennaio 1876 morì Caterina Biffi, l’ultima sorella del cavalier Francesco. Laura quindi assunse una posizione di primo piano nel governo e nella direzione pratica della casa e divenne ancor più figlia, colmando così il vuoto e la solitudine che altrimenti avrebbero riempito le giornate del gentiluomo. Doveva sempre essere in sua compagnia, a piedi per strada, in carrozza, a tavola… Francesco Biffi le diceva che era il suo angelo custode. Ciò era per Laura molto imbarazzante, ma il padre spirituale le disse che quello doveva essere il suo posto fino alla dipartita del cavaliere: «Queste cose, ridette e riportate, fecero fare dei giudizi poco buoni sulla mia condotta e quasi si scandalizzarono. Io ne fui avvertita e ne rimasi addolorata ed angustiata per il timore di dare scandalo davvero. Il mio direttore mi tranquillizzò: “Eh, certo – mi disse – sei in una posizione delicata e se non fossi certo della volontà del Signore non ti lascerei lì per cinque minuti. […] In quanto al tuo signore, sta’ sicura che è per te un affettuoso padre retto e buono”.»[1].

Le voci in malafede presero a circolare intorno a casa Biffi ed aumentarono ancor più quando il cavaliere, ossessionato dalla paura di essere ucciso da un servitore come era accaduto ad un suo conoscente, decise di licenziare tutto il personale di servizio. Soltanto Laura rimase, dando motivo a mille calunnie. Trascorsero così quattro anni durante i quali, per assistere il cavalier Biffi, ella doveva trascorrere la notte vestita, seduta su di una poltrona. Invece di protestare, Laura sfruttava buona parte di quelle ore per pregare: pregava affinché il Signore facesse conoscere la Sua Volontà al direttore spirituale.

 

Il 2 febbraio 1879, Festa della Presentazione di Gesù al Tempio e della Purificazione di Maria Santissima, nella chiesa di San Babila si tenevano le Sante Quarantore, che ravvivavano nei fedeli la fede attraverso l’adorazione Eucaristica. Come sempre Laura non poté mancare. Trovò il tempo, fra le sue molteplici incombenze di governo in casa Biffi, di andare in chiesa all’una e mezza del pomeriggio. Scelse un posto appartato perché si sentiva oppressa e voleva pregare e piangere liberamente, senza essere vista da nessuno. Si rivolse a Gesù con queste parole: «Gesù caro, voglio consolare il Vostro dolcissimo Cuore, voglio farvi amare e conoscere, voglio darvi anime.»[2] A questo punto Laura fu misticamente rapita e udì la Voce di Gesù, interiormente, come quando era piccina. Le disse di guardare e le mostrò «una estensione sterminata, innumerevoli anime avvolte in una fitta rete che cercavano di rompere… Un momento dopo mi trovai madre di tante figlie»[3]. La visione proseguì facendole osservare parrocchie, laboratori, funerali, scuole, gioventù, bambini: «Ecco il tuo compito, coraggio, Laura, Io sono con te e tu dal mio Cuore otterrai lumi, forza, aiuto, soccorso… Non temere!»[4].

Uscì da San Babila che erano le tre, ma aveva la sensazione che non fosse trascorso più di un minuto. Non era quieta, non era serena. La sera scrisse appunti carichi di mestizia, pur cosciente della grazia concessale quel giorno. La ragione di tanta inquietudine era il fatto che pensava di realizzare quanto Gesù le aveva mostrato in un’Istituzione religiosa già formata e si sentiva «pensierosa ed afflitta» nel non aver ancora trovato Regole adatte a sé. Credeva che il suo posto sarebbe stato quello delle Orsoline di Sant’Angela Merici (1474 – 1540)[5] e precisamente delle Orsoline di Famiglia. Sant’Angela era una donna di preghiera, di mortificazione, ma anche di dinamismo apostolico. Cordiale, buona, materna, godeva di uno straordinario prestigio e rispetto; in mezzo ai contrasti del mondo rinascimentale seppe intuire il grande bisogno di educazione delle ragazze e delle donne. Scelse sant’Orsola come patrona della Compagnia, affinché fosse modello di un totale e radicale dono di sé a Cristo, pronto perfino al martirio. Le Figlie di Sant’Orsola erano chiamate ad insegnare le verità della fede cristiana e dovevano essere educatrici ed insegnanti modello.

Fondando la Compagnia di Sant’Orsola, Angela voleva tornare alle fonti del cristianesimo. La sua idea era semplice: le ragazze e le donne consacrate a Dio, abitando in famiglia e non in un convento, vivendo nel tessuto civile, dovevano contribuire al rinnovamento morale della società e della Chiesa. Periodicamente dovevano fra loro incontrarsi per momenti di formazione e per confermare la loro vocazione.

Laura Baraggia si era avvicinata alle Orsoline nel 1875, perciò si fece spazio in lei, in un primo tempo, l’idea che le tante figlie della visione appartenessero alla famiglia delle Orsoline.

Per essere illuminata e poter meglio leggere e comprendere il messaggio di Cristo, intensificò la preghiera.

Alcune notti dopo si ritrovò a guardare fra le griglie della finestra della sua camera il Tabernacolo della chiesa di S. Babila. Pregava e piangeva. Ed ecco la Voce: «Perché tanto ti affliggi, Laura? Perché cerchi lontano da me ciò che io solo posso e voglio darti? Mettiti a scrivere»[6]. Ella allora, inginocchiata a terra, appoggiata semplicemente ad un tavolino si mise a scrivere parole non sue: «Scrissi senza sapere che cosa. La mia mano era condotta da altri»[7]. Era rapita, in estasi. Riprese coscienza soltanto all’alba: «Vi baciai i piedi, Amor mio… Oh, come eravate bello! […] Mi svegliai come da un sonno e mi alzai sbigottita. Mi pareva di aver sognato, ma il libro era tutto scritto, pregai a lungo. Mi sedetti un po’, ma non potei prendere sonno. Mi pareva di vederVi, di essere ancora con Voi. Cogli occhi del corpo, come il solito, non avevo visto nulla; con gli orecchi sentito nulla, eppure io avevo visto Voi in tuta la Vostra bellezza e sentito la Vostra dolcissima Voce. Il suono dell’Ave Maria mi trovò in ginocchio. Mi recai in Chiesa, davanti al Tabernacolo […]»[8]Quando, quella mattina, fece la Comunione, Laura capì con estrema chiarezza l’accaduto.

In quella che lei stessa definì in seguito “la bella notte” aveva scritto, senza rendersene conto, la fisionomia della famiglia religiosa che poi avrebbe fondato. Non rimane traccia di quelle carte[9], ma Laura, sul suo Diario Spirituale, ne registrò alcuni passaggi relativi al fine della nuova congregazione: «Sollevare e consolare il Vostro Cuore, o Gesù dolcissimo, con l’amarlo e farlo amare»[10], attraverso l’apostolato umile e prezioso nelle parrocchie. Inoltre definì la fisionomia dell’Istituto: «una vera Famiglia, vera vita comune composta di Spose e di Figlie…»[11] e poi il nome della congregazione: «Famiglia del Cuore Santissimo di Gesù»[12].

Perché Laura era in estasi, rapita, senza rendersi conto di ciò che aveva scritto? Glielo disse Gesù proprio nella straordinaria e misteriosa notte: «… questa sarà la prova più certa che è tutt’opera mia»[13].

Laura non ebbe né forza né coraggio di parlare della mistica notte al suo confessore, in quanto una congregazione religiosa tutta sua la spaventava, credendo di disonorare le stesse opere volute da Dio.

Rimase nel suo cuore il turbamento e la paura di non essere all’altezza della situazione e allora, di tanto in tanto, domandava a Gesù «Che vuoi da me?», la risposta era scontata: «Ben conosci la mia volontà, è inutile che resisti, essa si stabilirà e durerà molto. È questo un atto della mia Misericordia per gli ultimi tempi della Chiesa»[14].

Padre Ottone Terzi, pur non avvertito dei nuovi accadimenti, si accorse dei turbamenti di Laura, perciò, comprendendo la sua difficoltà ad esprimere qualcosa di profondamente intimo, le ordinò di mettere tutto per iscritto. A malincuore lei obbedì consegnando fra le mani del padre spirituale le carte che aveva scritto nella «bella notte». Dopo aver letto ed esaminato attentamente quelle pagine, padre Ottone le ingiunse di scacciare quell’idea come si trattasse di una tentazione. L’obbedienza di Laura non si fece attendere e per mesi lottò fra ciò che sentiva come la volontà di Dio e l’obbedienza al suo padre spirituale. Fu un tempo di enorme sofferenza, un vero e proprio martirio, una continua lotta. E un giorno, interrogata da padre Ottone, confessò: «Scaccio il pensiero perché l’obbedienza lo vuole, ma ogni giorno Gesù me lo ricorda»[15].

Allora padre Ottone la invitò a fare dieci giorni di Esercizi Spirituali privati, seguiti dalla confessione generale. Forse era l’estate del 1879. Poi decise di mandarla dalla Superiora delle Suore Orsoline, per chiederle di entrare nell’Istituto. La sua idea, infatti, era quella di unirla ad altre compagne Orsoline per dedicarsi alle opere parrocchiali.

Ma il disegno, presentato nella «bella notte», era un sogno che doveva realizzarsi in un altro modo.

 


[1] Diario Spirituale, pag. 89

[2] Ibidem, pag. 91

[3] Ibidem

[4] Ibidem, pag. 93

[5] Sant’ Angela Merici fondò la Compagnia delle “Dimesse di sant’Orsola”. Nacque a Desenzano, a sud-ovest del Lago di Garda, in Lombardia, nel territorio della Repubblica di Venezia. Rimase orfana all’età di dieci anni e insieme all’ultima sorella si trasferì a casa di suo zio nella vicina città di Salò. Quando sua sorella morì improvvisamente senza aver ricevuto gli ultimi Sacramenti, la giovane Angela ne fu molto angosciata; divenne terziaria francescana e accrebbe enormemente le sue preghiere e mortificazioni per la pace dell’anima di sua sorella. Chiese a Dio di rivelarle la sua condizione e la preghiera venne esaudita:  in visione  vide sua sorella in compagnia degli angeli in Paradiso. Quando ebbe vent’anni suo zio morì e lei tornò alla casa paterna a Desenzano. Convinta che il maggior bisogno ai suoi tempi era dare una migliore istruzione nei rudimenti della religione cattolica alle giovani ragazze, trasformò la sua casa in una scuola dove, a intervalli stabiliti, riuniva quotidianamente alcune bambine di Desenzano e insegnava loro gli elementi del cristianesimo.

Un giorno, mentre era in estasi, ebbe una  visione in cui le fu rivelato che doveva fondare un’associazione di vergini dedite all’educazione religiosa delle giovani. Dopo aver aperto una scuola a Desenzano, fu invitata nella città vicina, a Brescia, per fondarvi una scuola simile. Angela accettò felicemente l’invito e giunse a Brescia nel 1516.

Nel 1524 intraprese un pellegrinaggio in Terra Santa e, mentre si trovava sull’isola di Creta, divenne improvvisamente cieca, ma continuò il suo viaggio sui luoghi santi e guarì  di fronte ad un crocifisso.

Il 25 novembre 1535 Angela scelse ventotto vergini e pose le fondamenta dell’ordine delle Orsoline in una piccola casa vicino alla Chiesa di Sant’Afra a Brescia. La Regola della Compagnia di Sant’Orsola venne approvata l’ 8 agosto 1536. Il 18 marzo 1537 fu eletta Superiora e Madre Generale a vita. Angela morì il 27 gennaio 1540, quando la Compagnia contava circa 150 figlie. Il suo corpo venne sepolto nella chiesa di Sant’Afra. Fu beatificata nel 1768 da Clemente XIII e canonizzata nel 1807 da Pio VII.

[6] Diario Spirituale, pag. 94

[7] Ibidem

[8] Ibidem, pagg. 94-95

[9] Preziosissime proprio perché quasi ‘dettate’ da Gesù per indicare il disegno della futura congregazione. Lo scritto originale, consegnato a Padre Terzi S.J., e quello successivo dato a Padre Chiarini (Oratoriano di S. Filippo Neri e direttore della Compagnia di Sant’Orsola in Brescia) andarono perduti

[10] Diario Spirituale, pag. 97

[11] Ibidem

[12] Ibidem

[13] Ibidem, 94

[14] Ibidem, pag. 95

[15] Ibidem, pag. 99