Un giorno le capitò fra le mani la biografia della lombarda Bartolomea Capitanio[1] (1807-1833), la fondatrice, insieme a Caterina Gerosa, delle Suore di Maria Bambina. Si trattava di una biografia scritta nel 1837 da don Gaetano Scandella, sacerdote di Brescia.
Che cosa trovò di così importante in quel volume? Trovò la risposta alle sue domande ed inquietudini, trovò il suo metodo di vita L’affascinò quella ragazza, quasi sua coetanea, innamorata della vita contemplativa e aspirante alla donazione di sé al prossimo attraverso le opere di carità, soprattutto la scuola per le fanciulle povere. In Bartolomea si ritrovò. Lei stessa rivelò: «Nel leggere la vita vi trovai il suo metodo di vita. Mi piacque. Vi feci solo qualche variazione e poi lo mandai al mio buon parroco perché lo esaminasse, togliesse ed aggiungesse ciò che credeva migliore per me. Me lo rimandò e fu molto contento del mio desiderio, lo approvò, e mi disse che fu proprio una grazia di Gesù l’ispirarmi sì tanto pensiero»[2]. Laura, avrebbe voluto vivere in qualche modo il sistema di vita della Capitanio. Chiese un prezioso consiglio al suo parroco, di cui aveva molta stima e fiducia, e da don Ercole ebbe pareri molto favorevoli. Ottenne il permesso di praticare il metodo della Capitanio per due mesi di seguito, terminati i quali le venne permesso di impegnarsi con promessa il giorno di Pasqua. Il metodo riscritto da Laura era pressoché conforme a quello originale, con alcune differenze nell’esposizione più dettagliata, più scrupolosa, con maggior attenzione alle mortificazioni (per esempio la recita del rosario in ginocchio, così come l’atto di pentimento, recitato con le mani sotto le ginocchia). Il metodo di vita, composto fra il gennaio ed il febbraio del 1867, le donò conforto e sicurezza: le sue giornate erano ormai scandite dalla preghiera, anche i momenti di lavoro erano dedicati a Dio ed ogni moto interno ed esterno ritmato dall’orazione. Tutto diventò inno alla gloria di Dio; perciò anche indossare vestiti alla moda rientrò nell’ottica del sacrificio, della sottomissione e dell’obbedienza. Preghiere e mortificazioni venivano puntualmente presentate al confessore. Questo metodo era rigido e rigoroso, ma considerato normale al suo tempo per chi voleva compiere un cammino di ascesi. Chissà quante volte Laura avrà letto e riletto quella frase della piccola Bartolomea Capitanio: «Voglio farmi santa, gran santa, presto santa!». Giorno dopo giorno, infatti, Bartolomea s’impegnò in questo cammino ascendente e nella lettura della vita dei santi – fra i quali san Luigi Gonzaga – cercò i segreti e le applicazioni di una sempre maggior comunione con Dio: «D’ora in poi scelgo te, Gesù, come unico padrone del mio cuore, dei miei affetti, di tutta me stessa. Sarò per sempre tua e voglio trovare in te tutta la mia gioia. […] Ho conosciuto quanto sia grande il tuo amore verso di me, o Dio. Non ero ancora nata e tu già pensavi a me, mi amavi e mi preparavi grazie grandi. Adesso mi ami con un amore infinito, vegli alla mia difesa, cogli tutte le occasioni per darmi prove del tuo amore, mi stai continuamente vicino, mi perdoni, mi chiami e sembra che tu non sia contento finché non ti vedi amato da me. Gesù, troppo mi ami! Voglio anch’io amarti con tutte le mie forze. Io so, Gesù, che l’amore per te non va mai separato da un vero amore del prossimo. Perciò tutto quello che mi hai donato: la vita, la salute, il talento, i pensieri, le parole, le azioni, la roba, lo impiegherò a vantaggio e sollievo dei miei cari fratelli. Tu aiuta la mia debolezza e dammi coraggio nelle difficoltà. Fa’ vedere che lo strumento più povero nelle tue mani onnipotenti può fare le cose più grandi. Maria Santissima, insegnami tu ad amare il mio prossimo»[3]. Bartolomea morì a soli 26 anni lasciando la guida della nuova congregazione a Caterina Gerosa, con la certezza che l’opera era «nelle mani di Dio». Anche Laura sapeva che tutto era nelle mani del Signore, perciò non temeva più e viveva le sue giornate offrendole a Lui. Era più serena, rilassata e quieta: «Dopo aver tutto sottoposto all’obbedienza, mi sentivo tanto quieta e tranquilla che non avevo parole per ringraziare il Signore. E Gesù, mio dolcissimo, come mi incoraggiava e mi sosteneva, non mi lasciava sentire il peso.»[4] Sentiva sempre più forte bisogno di avere un direttore spirituale, perciò fece esplicita richiesta al Signore: «di un confessore forte e serio. Pregavo continuamente, facevo penitenza e digiuni per ottenerlo dal Signore. E continuai così per quasi due anni»[5]. Ne aveva 18, infatti, quando incontrò provvidenzialmente il padre gesuita Ottone Terzi[6]. Era stata invitata ad una conferenza per ragazze nella chiesa di Santo Stefano, dove le Madri Canossiane avevano aperto un oratorio femminile. Vi partecipò e subito padre Ottone le parve un santo e appena lo vide la Voce di Gesù le disse: «Vedi, questo sarà il tuo direttore, a lui devi obbedire ciecamente»[7]. Padre Ottone Terzi confessava nella chiesa dei Crociferi di Milano in via Durini e in quell’occasione aveva radunato una ventina di giovani al fine di raccogliere le adesioni all’associazione delle Figlie di Maria, della quale Laura entrò a far parte con gioia. Fu così che prese a frequentare padre Ottone recandosi nella chiesa dei Crociferi. Quando vi entrò la prima volta sentì la Voce confermarle la scelta: «Vidi in un confessionale quel padre che ci aveva tenuto la conferenza. Sentii la dolce Voce che mi disse: “Va, confessati da quel mio Servo”. […] Appena terminata l’accusa, stette un momento senza parlare, mi sembrava pregasse. Poi mi disse queste precise parole: “Figlia io non ti conosco, ma devo dirti che il Signore ti ama di un amor di predilezione […] Ricordati che il Signore ha dei disegni su di te.»[8]. Padre Ottone le indicò la strada: essere «religiosa nel mondo». Laura, ancora una volta, con sacrificio e rassegnazione, lasciò l’idea della scelta monastica. Divenne terziaria francescana, continuò a vivere il metodo di vita secondo santa Bartolomea Capitanio, e le fu permesso il voto di uniformità al volere di Dio e quello di stare alla presenza del Sacro Cuore di Gesù, in un cammino di «maggior perfezione». Padre Ottone le permise inoltre di lasciare gli abiti alla moda: chiuse i capelli in una retina, indossò vestiti modesti e non portò più ornamenti d’oro. I Biffi si allarmarono: Laura voleva farsi religiosa, li avrebbe abbandonati? Andò a rassicurarli padre Ottone Terzi e da quel momento la giovane fu lasciata libera di agire secondo le direttive della sua guida spirituale. Padre Ottone modellò Laura con grande sapienza, facendole acquisire quella libertà interiore che non aveva mai posseduto e, per realizzare ciò, decise di farle mutare spesso le scelte quotidiane. Per esempio la mandava a passeggiare sui bastioni, invece di fermarsi a lungo in chiesa come avrebbe desiderato e talvolta le faceva anche indossare i vestiti eleganti di prima. Con questo sistema temprò la sua volontà e la sua anima, dimostrandole che ci si può sentire uniti a Dio in qualunque luogo, con qualunque vestito e in ogni circostanza. Padre Ottone interveniva nelle piccole cose, mentre nelle scelte importanti non si intrometteva, anzi, quando seppe che Laura era stata chiesta in sposa da ottimi pretendenti, le diceva, provando così la sua fedeltà a Cristo: «… “perché ti rifiuti a tutte le domande? In società potresti fare tanto bene, dare buon esempio, guadagnare anime a Gesù che senti di amare. Essendo ricca potrai fare tanta carità, soccorrere tanto i poveri che tanto ami”»[9]. Egli mise alla prova la perseveranza e la convinzione della figlia spirituale che si buttava incondizionatamente fra le braccia di Dio: soltanto Gesù «doveva essere il mio tutto, Lui solo il padrone assoluto del mio cuore, del mio corpo, dei miei affetti»[10]. Era, dunque, una vocazione sincera e autentica, radicale e totalizzante, la cui sorgente era chiarissima ed aveva soltanto bisogno di trovare la sua foce naturale. L’opera di padre Ottone fu fondamentale per rendere la personalità di Laura più ferma e sicura, capace di muoversi nel mondo con maggior disinvoltura, senza più timori ed incertezze.
[1] Bartolomea Capitanio era figlia primogenita di Modesto e di Caterina Canossi di Lovere, un paese che si distende sulla costa del lago d’Iseo, nell’estremità nord-occidentale della Lombardia. Dal suo ambiente, crocevia di scambi commerciali, assimilò uno spirito intraprendente e creativo. Audace la sua decisione: «Voglio farmi santa, gran santa, presto santa». Trascorse quattro anni nell’educandato delle Clarisse per completare gli studi e altri due come educatrice. Si inserì nell’attività parrocchiale, sostenuta dal suo direttore spirituale don Angelo Bosio e dal parroco don Rusticiano Barboglio, che colsero in lei una non comune disponibilità a rendersi utile nella famiglia e nel paese. Nel clima politico della Restaurazione, la parrocchia di Lovere era impegnata a ripristinare la pratica religiosa ferita dagli eventi del periodo rivoluzionario e napoleonico, promovendo iniziative pastorali con particolare attenzione ai giovani. Bartolomea esplicò le sue spiccate attitudini apostoliche nella scuola privata aperta nel 1825 nella casa paterna, nell’oratorio femminile a cui diede un decisivo impulso, nelle associazioni che essa suscitò e animò, nell’ospedale di cui, nel 1826, divenne direttrice ed economa. Coltivò intensi rapporti di amicizia con le giovani dei paesi vicini, che incoraggiava nelle iniziative di bene. Gradualmente comprese di essere chiamata a fondare un istituto che avesse «per scopo le opere di misericordia». Incominciò a scriverne il progetto il 26 aprile 1831, lasciandosi ispirare dalla «carità ardentissima di Gesù Redentore» per proporne l’imitazione alle figlie del suo Istituto, al quale diede inizio il 21 novembre 1832 con la sua prima compagna, Caterina Gerosa. Nel giugno del 1833 firmarono insieme l’atto costitutivo della società con tanta fiducia nella Provvidenza, poiché Bartolomea era gravemente malata e Caterina si ritenne inadeguata a continuare l’opera. Un mese dopo, il 26 luglio, la fondatrice morì e l’Istituto passò nelle mani della compagna come una preziosa ma impegnativa eredità. Pio XII le proclamò sante il 18 maggio del 1950. [2] Diario Spirituale, pag. 57 [3] Laura, in diverse pagine dei suoi scritti, riprese parole molto simili a quelle di Bartolomea, esprimendo il medesimo slancio d’amore e lo stesso desiderio di appartenenza e donazione a Dio [4] Diario Spirituale, pag. 67 [5] Ibidem, pag. 71 [6] Padre Ottone Terzi S. J. Nacque il 2 febbraio 1823 a Piacenza, da Giuseppe e Marianna Cipelli; entrò nella Compagnia di Gesù nel 1847 nel noviziato di Verona e morì a Milano il 19 novembre 1887. Dal 1857 fu superiore della casa dei Gesuiti in Via Montebello. “Fu tra i più potenti predicatori e operai della nostra provincia. Non scriveva per disteso le sue prediche, ma, fornito com’era copiosamente delle doti di un buon oratore, sempre piaceva e coglieva gran frutto. Abbiamo veduto quale stima godesse in Milano (dove fu quasi sempre dal 1863 fino alla morte), e quanto bene egli operasse in quella città. Fu religioso esemplare e ornato di molte virtù: quella che più spiccava in lui era lo zelo per la salute delle anime, per cui in Milano lasciò gran memoria di sé.” (da Archivius Prov. Veneto-Mediol. Societatis Jesu) [7] Ibidem, pag, 71 [8] Ibidem, pag. 72 [9] Ibidem, pag. 83 [10] Ibidem |
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