In paese funzionava la scuola elementare primaria, con i programmi governativi del nuovo regno d’Italia. Naturalmente, essendo il paese piccolo, anche la scuola presentava i suoi limiti: un solo maestro per gli alunni e una sola maestra per le bambine, che seguivano un programma di pluriclasse in cui si radunavano tutti gli alunni dai 6 agli 11 anni. Le nozioni offerte erano rudimentali e spesso i maestri non eccellevano per la preparazione; la stessa Laura ricordava che la sua maestra “era una pia donna ma poco colta”[1].

Anche a scuola la piccola Laura continuava ad udire la Voce dell’amato Gesù, come accadde quando venne incolpata di un fatto di cui era completamente innocente e giudicata bugiarda e privata così del premio che invece avrebbe meritato per impegno e diligenza. Allora Laura si lasciò consolare da Gesù: «Voi, Amor mio, non voleste mi discolpassi e mi diceste: “Io pure fui castigato, calunniato e tacqui. Accusato ingiustamente e tacqui. Meritavo onori e mi trattarono come un malfattore e tacqui. E tu, mia sposa, parlerai, ti difenderai?”»[2]. Non parlò, non si difese, lei si considerava già sua sposa, benché non ancora consacrata.

Laura concluse questo primo ciclo di studi nel 1862 con un esame. Lasciò quindi la scuola come gran parte delle compagne perché a Bernareggio non c’erano la terza e la quarta classe e si diede  alle occupazioni domestiche, aiutando la mamma.

Intorno ai 14-15 anni sentì crescere sempre più forte il desiderio di consacrarsi totalmente a Gesù e meditava come realizzare la promessa fatta  nel giorno della sua Prima Comunione.

Il 29 luglio 1864 il padre morì a causa della febbre tifoidea e Laura rimase positivamente stupita sia dall’atteggiamento di sereno abbandono del padre sia dall’eroica fortezza della madre. Cesare Baraggia salutò uno ad uno i figli prima di spirare e per Laura ebbe un’attenzione ed una benedizione speciali: «Figlia, ti raccomando, corrispondi alle grazie del Signore e sii sempre umile» e rivolto alla moglie disse: «Giovannina vi raccomando in modo particolare questa figlia, voi ben sapete i disegni di Dio su di lei»[3].

Il vuoto che il padre lasciò fu immenso. Laura ne soffrì tanto che si ammalò fino a far temere della sua vita. Essendosi aggravata, il parroco andò a benedirla in articulo mortis. Laura risentì la Voce di Gesù: «Sentivo vicino il mio caro Gesù. Al terzo giorno mi sembrò di risvegliarmi da un dolce sonno, e sentii l’Amabile Voce dirmi: “Una nuova vita voglio da te, corrispondi alle mie grazie, e compi la mia Volontà”». Si ristabilì in tre mesi.

Le sofferenze e prove divennero motivo di offerta; infatti «colla morte della persona più cara» e con l’«allontanarmi da tutti, col privarmi di ogni consolazione, mi faceste conoscere che voi solo volete possedere tutto il mio cuore»[4].

Quando si fu ristabilita, proseguì gli studi diventando alunna esterna del Collegio delle Suore Marcelline di Vimercate, dove era stata aperta la scuola magistrale con i programmi della legge Casati del 1861[5].

Per evitare i cinque chilometri  di viaggio che separavano Sulbiate da Vimercate, trovò ospitalità presso una famiglia benestante, dove però non si trovò a proprio agio, perciò venne trovato un altro alloggio presso una povera famiglia di contadini molto cattolici.

Laura pregava intensamente e, libera dal controllo materno, si mortificava assiduamente. Perseguì, più che lo studio, la purezza, la dolcezza e l’umiltà; san Luigi Gonzaga e la Madonna continuavano ad essere i suoi modelli.

Gesù era l’oggetto del suo profondissimo amore e a lui donava le sue penitenze che erano a volte troppo dure, procurandole effetti negativi sulla salute.

Il suo temperamento, alquanto timido, le impedì  di  essere ammessa agli esami; la sua istruzione rimase pertanto frammentaria, pur essendo già notevole rispetto alle giovani del suo paese, avviate da bambine al lavoro domestico e di campagna.

Così annotò il fratello  Francesco in un manoscritto conservato nell’archivio della “Famiglia del S. Cuore di Gesù”: «Fin da bambina aveva un cuore tanto ben fatto che non solo era teneramente amata dai genitori e dai fratelli, ma era anche amata e ammirata dalle persone che la conoscevano. Docile sempre e ubbidiente a tutti e in tutto. Io non ricordo di averla veduta una sola volta tenere il broncio perché corretta e rimproverata. Invece di difendersi a sua giustificazione,  taceva, si ritirava e qualche volta piangeva in silenzio… Cresceva in mezzo ai fratelli, i quali certo non erano modelli di perfezione […] Sempre contenta del parco cibo che le veniva apprestato: pienamente soddisfatta d’esser vestita come piaceva alla sua cara mamma; e non mai desiderosa di comparire in pubblico, neppure alle sagre e alle fiere dei vicini santuari […] La mamma che vedeva nella sua figlia così belle doti, lo sa Dio solo quali sacrifici avrebbe fatto per metterla in qualche stabilimento onde si perfezionasse nell’educazione e progredisse meglio negli studi e nella virtù per così manifestar meglio la sua vocazione. Ma le condizioni della famiglia non lo permettevano.».

Il temperamento timido ed introverso la condusse spesso ad un’introspezione esasperata e alla ricerca del silenzio e della preghiera, in luoghi solitari… Rifuggiva dalle compagne che potevano disturbare la sua relazione con Dio. Scrisse: «Amavo molto la solitudine e quanto godevo quando potevo chiudermi in qualche stanza od alzarmi di notte all’oscuro e sola sola veduta solo da Gesù e con Lui sola adorarlo, ascoltarlo, amarlo»[6].

Con il Sacramento della Comunione superò il terribile conflitto interiore che per molti anni la tormentò, mettendo a confronto il suo nulla e l’amore di e per Dio, e proprio allora sentì a quale genere di chiamata la indirizzava il Signore: «che dividessi la mia vita in preghiera e nel far il bene alle ragazze della mia età».[7] Più fiduciosa nella Sua grazia, si abbandonò a Lui, riconoscendo nelle cose del mondo tutta la loro vacuità: «tutte le cose del mondo le conobbi come vanità, nullità e miseria»[8]. Suo desiderio era quello di acquisire quelle virtù che le apparivano come proprie del Cuore di Gesù e precisamente la purezza, la dolcezza e l’umiltà.

Praticava ancora mortificazioni che le crearono problemi di salute: «mi ammalai un po’ in quel tempo, per un po’ di indiscrezione commessa nel modo di mortificarmi nel cibo e nel letto, perché fin allora facevo quanto mi veniva in mente, non sapendo che si doveva essere guidati in queste cose  dal confessore. Si accorse il mio confessore e mi proibì in parte le penitenze, sebbene ne facessi già poche»[9].

Intanto Laura si attivò con carità ad insegnare catechismo alle ragazze povere; ma la timidezza le impediva  di dedicarsi alla visita degli infermi. Il suo timore, nel confronto con il mondo, era sempre quello di rimanerne turbata.

La maestra del Collegio di Vimercate le aveva proposto di farsi religiosa delle Marcelline; ma Laura affermò, dimostrando convinzione e determinazione, che desiderava entrare in una congregazione di regola più rigida, dove si potesse ricevere l’Eucaristia ogni giorno e ci fossero almeno due ore di orazione quotidiane. Ebbe un’accesa attrattiva, infatti, alla vita claustrale; tuttavia desiderava anche un genere di consacrazione al Signore del tutto diversa: « Voi sapete o mio Signore che fin da fanciulla la vita religiosa fu uno dei miei più grandi desideri. Voi sapete per quanto tempo nutrii il desiderio di consacrare tutta me stessa alla conversione dei poveri infedeli in lontani paesi! La salvezza delle anime fu sempre il mio più grande desiderio e i più grandi sacrifici fatti a questo santo scopo mi riuscivano sollievi. Ma non vi accontentaste di semplici prove e dei buoni desideri e permetteste poi che i miei superiori pensassero diversamente e mi comandassero di seguire una ben diversa via a quella cominciata e tanto desiderata.»[10].