1. LA PRIMA INFANZIA
[2] A.M.D.G.
Il primo dono che mi fece il Signore fu l’avermi dato genitori veramente cattolici praticanti, di principi giusti papali e veramente santi.
In loro, oltre una scrupolosa esattezza nell’adempimento di tutti i precetti della S. Chiesa, risplendeva una grande carità verso il prossimo, una sorveglianza diligentissima sulla numerosa prole (eravamo 12 figli) che il buon Dio aveva loro donato, una devozione tenerissima verso Gesù Sacramentato e verso la carissima Madre Maria SS.
Essi tenevano in casa solo libri santi, cioè la vita di Gesù Cristo e di Maria SS. e la vita di santi. Era proibito assolutamente qualunque storia o giornale periodico che non fosse, non solo cattolico, ma pio e di sani principi.
Non permettevano che i loro figli andassero in casa d’altri e che si formassero degli amici se non erano persone prima ben conosciute da loro.
[3] Non li udii dir male d’altri; li vidi moltissime volte a rendere bene per male ricevuto, anzi la mamma una volta ci diede un eroico esempio con l’andare a far l’infermiera per otto giorni ad una donna ammalata, fare da madrina ad un bambino della medesima al S. Battesimo, il marito della quale l’aveva calunniata e portato dei gravi danni, l’aveva minacciata fin della vita (per falsi rapporti).
Quest’atto generoso della buona mia mamma mi fece tanto bene, che mi fece decidere a rendere sempre bene per male per tutto il tempo della mia vita. E di tutto questo bene, ne ringrazio infinitamente il Signore.
Oh! quanto bene possono fare gli esempi dei genitori.
Nello stesso giorno che nacqui, (e fu il 1o Maggio 1851) e solo poche ore dopo nata, mi fecero battezzare, e mi furono dati i nomi di Laura Rosa. La mia madrina di Battesimo mi diede il nome di Laura perché lavorassi, come ella diceva, tanto per il Signore.
Era costume della mia pia madre far battezzare subito i suoi bambini perché, com’ella diceva, voleva fossero presto liberati
[4] dal peccato originale e fatti presto figli di Dio.
Vi fu chi le fece l’osservazione che i bambini potevano soffrire, dovendoli portare alla Chiesa Parrocchiale lontana quasi un chilometro, e tante volte in stagione tanto rigida, che aspettasse almeno qualche giorno, ma ella le rispose che amava molto i suoi figli e per questo le premeva più la loro anima e il loro bene spirituale che il loro corpo, e che intendeva interpretare anche più bene lo spirito della S. Chiesa. E di questo favore ne rendo grazie al Signore e ne sono grata alla mia buona mamma.
Essa mi diceva che ero nata il primo giorno del mese dedicato alla cara Madre SS. e di giovedì, che era mio dovere amare tanto la cara Madonna ed essere devotissima di Gesù Sacramentato.
Ero quella che compiva i cori degli Angeli alludendo ai nostri Angeli Custodi (perché io ero la nona). La mia nascita, mi diceva, fu quasi sconosciuta nella numerosa mia famiglia, e siccome
[5] avevo avuto dalla grazia un’indole quieta, tranquilla e non piangevo mai, mi lasciava sempre in culla ed in stanza da sola, dovendo ella attendere ad altri otto piccoli bambini(essendo uno distante dall’altro di solo di un anno e pochi mesi).
Solo quando, a nove mesi, incominciai ad andare da sola, mi portò fuori di stanza, ma non essendo abituata a vedere persone ed essere toccata da altri, piangevo ed ero inquieta, tanto che si decise di affidarmi ad una zia inferma, che stava sempre in stanza. Con la zia mi abituai subito, e mi trovavo bene. La zia conoscendomi, né mi accarezzava né mi baciava ed io allora, non avevo più occasione di piangere. Sembrava una bambinata, invece era Gesù SS. che non voleva che io accettassi quelle tenerezze.
Con la zia tanto buona e paziente stavo benissimo. Mi faceva
[6] pregare benché bambina di pochi mesi. Avevo diciotto mesi quando cominciai a pregare ed ebbi la prima conoscenza che vi era il Signore mio Dio, ma in modo un po’ confuso.
In quella età ebbi cognizione di molte cose e mi ricordo di tante cose. Una in modo particolare: il dispiacere provato perché una persona mi prese in braccio con poco riguardo e mi baciò ed accarezzò come usano fare con i bambini. Che bella cosa sarebbe e come piacerebbe di più al Signore che verso i bambini si usassero riguardi! Poveri Angioletti, se ne fa di loro un abuso, più per sfogo di passione che di vero amore.
Mi ricordo del gusto che provavo nel pregare, nel fare altarini, nell’imparare le belle cosine che la sopraddetta mia zia, con tanta bontà mi insegnava. Mi amava molto perché mi diceva che ero dolce e savia e che le ero di compagnia, invece io credo che la mia saggezza era tutta bontà di questa mia zia.
Non prendendo aria, divenni molto debole, e vi fu chi ne fece
[7] scrupolo alla mia cara mamma, ma essa non volle far torto a mia zia, col togliermi dalla stanza. Disse che, siccome faceva un atto di carità, il Signore ci avrebbe pensato.
La mamma non voleva assolutamente che troppo baciassero e accarezzassero i suoi figli, per lei era un farle torto usare questi modi e varie volte sgridò chi lo faceva. Né lei né il papà non ci baciarono mai, dicevano che le carezze e i baci erano smorfie che non piacciono al Signore.
Avevo tre anni quando la mia mamma fu obbligata a togliermi dalla stanza della mia zia, essendo essa molto aggravata dal male.
Dai tre fino ai tredici anni, dormii nella stanza dei miei genitori. Era cura diligentissima dei miei genitori tenere in stanze divise i ragazzi dalle ragazze, e divisi coperte e letti con tende.
Oh! quanto bene mi fecero gli esempi dei miei santi genitori. A soli tre anni quanta consolazione provavo nel vedere i miei
[8] genitori, sebbene venissero in stanza tardi e stanchi, pregare le ore intere, inginocchiati presso il letto sul loro inginocchiatoio. Meditare, chiedersi scusa, pregare con le braccia aperte, baciare la terra, benedire i loro figli con il Crocefisso e poi baciarlo e ribaciarlo amorosamente; aspergere con l’acqua Santa i letti, e le stanze, i figli.
Non li vidi mai di malumore, mai farsi un’osservazione, un rimprovero, oppure una parola men che rispettosa. In nostra presenza sempre si approvavano, e trovavano giusto ciò che l’un l’altro avevano fatto.
La grazia di Dio e il buon esempio dei miei genitori mi fecero incominciare a tre anni a conoscere e gustare l’orazione e la virtù. Lasciavo che si addormentassero i miei buoni genitori, poi pian pianino scendevo dalla culla, oppure in ginocchio su essa, pregavo.
Mia consolazione era nascondermi in qualche cantuccio, non veduta che da Dio, a pregare. Sentivo grande attrattiva del bene
[9] e grande aborrimento per il male. Sentivo sempre una grande avversione pei baci e carezze, e a favorire la mia inclinazione si unì una debolezza naturale, che se per scherzo o per gioco mi mettevano le mani addosso mi mancavano le forze e svenivo, e, se avevo mangiato, restituivo il cibo.
Mia mamma aveva proibito severamente alle mie sorelle e fratelli ed altri della famiglia che mi toccassero. E questo fu per me un gran bene.
A quattro anni imparai a leggere e il primo libro che mi diedero da leggere, fu il S. Vangelo e poi la Vita di S. Luigi. Oh! quanto bene mi fecero. Pochi sono i genitori che conoscono che santa, che bella, ed eterna impressione fanno nelle tenere menti i libri santi.
Siccome imparai presto a leggere, la mia maestra che era un pia donna, ma poco colta, mi metteva su una sedia davanti a tutte le ragazze a leggere e pregare, e questo fu un mio primo pericolo.
[10] Però Gesù mi fece conoscere che era male preferirmi agli altri e ne provai grande dispiacere.
Suggerirono alla mamma di non farmi applicar troppo, di farmi far moto, di farmi divertire per farmi prendere forza. Avevo cinque anni quando, per farmi giocare, permise a varie ragazze un po’ maggiori di me di venire nella mia casa Oh! Che male mi fecero, coi loro discorsi e giochi poco onesti! Formeranno sempre il più grave dolore della mia vita.
Eppure la mia cara mamma credeva quelle ragazze sì buone ed innocenti.
Quante volte, sotto l’apparenza di una saviezza naturale, si nasconde un cuore tutt’altro che buono!… Questo, pure per me fu un pericolo…
L’anno dai 5 ai 6 anni fu il tempo che offesi più gravemente il Signore… Buon per me che il buon Dio mi conservò il piacere e il gusto della preghiera. Per quanto cattiva e dissipata, con la
divina grazia pregavo ore ed ore intere, mi confessavo spesso
[11] (avendo incominciato a confessarmi a 4 anni) e con sincerità e mi pare con vero dolore, ma il confessore aveva troppa stima di me, e non mi credeva. Conoscendo come mi comportavo in casa (veniva sempre in casa essendo amico dei miei genitori) ed avendo io un comportamento esteriore quieto e dolce mi riteneva buona, e considerava i miei peccati esagerazioni, e invece di correggermi, mi lodava. Ma la mia Madre tutt’occhi sui suoi figli si accorse che quelle bambine non andavano bene per me, e le fece star via.
Ma io le amavo, e una volta delusi la vigilanza materna e andavo a trovare quelle ragazze. Per strada trovai un mio superiore che sapeva tutto. Che fare? Dirgli dove andavo no, fare la bugia neppure. Mi risovvenni che la mamma aveva bisogno il tabacco da fiutare, ebbene dirò che vado a prendere il tabacco. Quel
[12] superiore mi domandò difatti ove andavo. “A prendere il tabacco” risposi.
Questa mancanza spiacque al Signore e ne provai subito dolore. Non sono stata quieta finché mi confessai e ebbi detto la cosa con schiettezza a quel mio superiore. Il pericolo incorso, però, fece sì che mai più andassi fuori di casa né da nessuno senza il permesso della mia mamma.
Ma a nulla mi sarebbe giovata questa promessa se il Signore non fosse venuto in aiuto con la sua santa grazia. Per un piccolo sforzo fatto per Lui, quanto fu generoso Gesù SS.
Avevo un sorellina minore di me e che era da me amata teneramente più di tutti. Avevo per lei una grande stima, la riguardavo come un Angelo perché era di una devozione e bontà
singolare.
Tutte le volte che mi confrontavo mi vergognavo, era così sem-
[13] pre dolce e obbediente. Essa pure mi amava di preferenza e quante volte mi correggeva, mi avvertiva. A sette anni era già una donnina e matura per il cielo.
Ella giocava pochissimo. Una volta che, per pura compiacenza, giocava con una ragazza caddero tutte e due. Io corsi a rialzarle, e prima sollevai la compagna. Questa, non so il perché si credette offesa e mi diede uno schiaffo; rimasi un po’ mortificata non sapendo il perché, ci pensai un momentino e poi per amore del Signore le andai vicino e la baciai. Quest’atto così piccolo, si degnò gradirlo il buon Dio.
Da quel momento non trovai più gusto per il gioco, mi diedi di più all’orazione, alla lettura di libri Santi. Imparai a memoria la vita di Gesù Cristo e di S Luigi. Oh! come gustavo la vita di questo caro Santo.
[14] Giocavo ancora però qualche volta con la bambola (la mia buona sorella maggiore mi faceva le bambole vestite da monaca perché non mi piacevano le bambole ambiziose) ma ci provavo poco gusto.
Ero in quel tempo il vero beniamino dell’intera mia famiglia. Avevo un carattere allegro, dolce e compiacente per natura, facile ad arrendersi al parere altrui: ecco perché ero amata. Ma ero molto difettosa, non si poteva parlarmi un po’ forte che mi spaventavo per nulla, restia ad andare fuori di casa e dove vi erano tante persone e persone forestiere, e mentre in casa ero molto compiacente, con le persone fuori ero selvatica.
Fino a portare la carità, non ero pronta all’obbedienza, e mentre mi sentivo sì inclinata per questa virtù, quando venivano poveri
[15] in casa davo loro tutto il mio cibo e denaro od altro, fuori di casa no.
Quanto fecero mamma e papà per farmi vincere, temevano che vi fosse in me un po’ di mancanza di carità, e questo faceva loro male. Essi che vivevano per la carità…
Quante carità vidi fare di nascosto, di notte, per non farsi vedere. Quante volte vidi la mamma nel cuor dell’inverno venire a casa alla sera senza calze, senza sottane, senza giubboncini, restare senza la coperta di lana del letto per darli ai poveri… La vidi una notte alla una, sola, con un fardello di biancheria andare da un’inferma per sollevarla e vegliarla…
Quante notti intere vegliò presso povere ammalate, e senza prendere un poco di riposo e tutto il giorno attendere alla famiglia.
[16] Quante volte nelle solennità veniva vicino e ci diceva: “Chi di voi dà il suo pranzo a Gesù?”. E quanto godeva quando vedeva i suoi figli che gareggiavano per dar tutti il suo… La mia parte era quasi sempre accettata e ne godevo proprio di cuore.
2. LA SCOPERTA DEL CROCEFISSO E LA VOCE DI GESù
[16] Avevo sette anni quando un giorno giocavo in una stanza da sola con la bambola e avevo di fronte un Crocefisso… Ad un tratto sentii come un voce chiara che mi disse: “Laura, che ci guadagni giocando con la bambola? non ti sarei più caro io che questa bambola?”…
Questa voce non la sentii con le orecchie del corpo, ma in modo più distinto. Guardai il Crocefisso, e qual vista! Mi sentii tutta commossa e mi sentii come ferire il cuore… Quella ferita la sento tutt’ora e la passione del mio caro Gesù fu così impressa in me che sempre mi è presente.
[17] Che faceste Amor mio di me allora? Io non so spiegare, so solo che da quel momento io non potevo guardare il Crocefisso per il grande dolore che ne provavo, e se fosse stato in mio potere avrei schiodato tutte le immagini di Gesù in Croce. Mi pareva crudeltà vederVi e tollerarVi così disteso nudo in Croce.
Quello che non ho potuto fare con gli altri l’ho fatto col mio. Schiodai l’immagine, la sostituii alla bambola, la coprii con una vestina di seta, non potendo soffrire di vederla nuda, e la portavo sempre con me.
Ciò fu preso come un atto di leggerezza, ma Voi ben sapete, o mio Dio, che quella vostra Immagine vestita da bambola, mi era sollievo, consolazione, soddisfazione, era la mia compagnia. Allora abbandonai del tutto la compagnia anche delle ragazze buone.
[18] Quante volte mi destaste di notte per farvi baciare, accarezzare o mio Gesù… Eppure ero tanto piena di difetti e distratta.
Era regola dei miei genitori che i figli, grandi e piccoli, recitassero le preghiere con il papà. Alla festa si doveva sapere l’argomento del Vangelo e la Dottrina spiegata in Chiesa, se no non si pranzava.
Il S. Vangelo e la Dottrina li sapevo sempre, ma ero distratta nelle preghiere, e varie volte mi avvertì il papà.
Io volevo attendere troppo al mio fratellino e non era mio compito. Per premio dell’attenzione e della devozione avuta in Chiesa, papà faceva venire un uomo che vendeva dolci e frutta e per premio ci comperava varie cose (i nostri genitori ci proibivano assolutamente di andare noi a comprarli in piazza come
costumano in campagna).
[19] Quando io li ricevevo sentivo quella voce misteriosa (che ho sempre poi sentito) dirmi: “Io ho digiunato e bevuto fiele e tu mangerai dolci?” Allora dicevo: “No, Gesù mio”, e correvo a riporre tutto nel tiretto del mio tavolino dove tenevo il mio Crocefisso.
Un giorno la mamma aprì il tiretto e trovò tutti i dolci, mi chiamò e mi disse: “Non ti piacciono più i dolci?”. Non ardii dire il perché, ed essa che aveva capito che lo facevo per buon fine, mi disse: “È bene e giusto che una ragazzina sia mortificata, ma non lasciarli andare a male, portali a qualche povera ammalata, o dalli a qualche povera bambina”.
Ma mentre Voi usaste tanta misericordia e bontà, tanto vi offendevo!… Ero troppo lodata e amata (non dal papà e mamma i
[20] quali non lodavano mai i loro figli) da tutti, per quel po’ di vernice di virtù che avevo.
Il mio confessore stesso era troppo buono con me, e mi credeva più buona di quel che ero realmente, e mi proponeva come modello alle ragazze della mia età le quali me lo riferivano, ed era un male per me.
3. IL NUOVO CONFESSORE DON ERCOLE RIVA
[20] Avevo otto anni quando venne il Parroco nuovo, don Ercole Riva, era amicissimo della mia famiglia.
Quando mi confessai la prima volta da lui, dopo la S. assoluzione mi disse: “Figlia, il Signore ti ha fatto tante grazie, ti vuol bene e ha dei disegni su di te, vuol essere da te amato in modo particolare, ma quanto sei imperfetta”, e poteva dire quanto cattiva. Queste parole risvegliarono nell’anima mia rimorsi fierissimi… Il buon Dio mi diede una profonda cono-
[21] scenza del mio nulla e della mia miseria, e per quasi un anno fui angustiata. Non mi conoscevano e per colpa mia. Non ero capace di dire una parola.
Gesù, sempre mi stava vicino e mi diceva che mi voleva tutta sua, ma che era necessario mi purificassi con una confessione generale. La feci, in occasione di ricevere la S. Cresima.
In pochi minuti conobbi e vidi, o meglio Gesù mi fece vedere tutti i miei peccati, ne conobbi la bruttezza, il numero…Quanto dolore provai… Qual dispiacere…
In tal tempo sentii in me un grande cambiamento. Non mi riconoscevo più e ciò che prima cercavo e amavo, dopo aborrivo ed odiavo da non poterne soffrire il pensiero… Eppure vi offendevo ancora sebbene involontariamente.
Imitai qualche penitenza dal caro S. Luigi, come il mettere le
[22] assi sotto le lenzuola, qualche catenella in vita, dei sassi sotto le ginocchia, la cenere sui cibi, ma non potevo sempre.
Andavo per le siepi a cercare dei frutti selvatici che contenevano sugo amaro, e li mettevo nell’acqua, in modo speciale al venerdì. Di nascosto mangiavo pane solo e cambiavo la pietanza spesso con quelle ragazze che avessero pietanze contrarie al mio gusto; ma che erano queste minuzierie con la penitenza che meritavano le mie colpe e il desiderio che Gesù SS. mi dava di patire qualche cosa per Lui?
Amavo moltissimo star sola e in stanza o in fondo al giardino nella folta siepe e là pregare, veduta sola da Dio. Ma l’aver veduto una volta un uomo sconosciuto mi spaventai e capii che
[23] si è più sicuri o presso ai genitori o nella mia stanza e così feci.
Sotto gli occhi dei Superiori si è più sicuri anche contro le industrie del demonio. Oh! come stavo bene, come godevo sola, sola, con Voi, mio caro Gesù! Ma ero sempre tanto imperfetta, sebbene sentivo un gran desiderio di amarvi.
Con quanta bontà mi trattaste quando, alla sera piena di rimorsi, venivo ai vostri SS. piedi a piangere le mie colpe invece di rimproverarmi e di scacciarmi, mi accoglieste con grande carità, mi consolaste, dicendomi che avessi pazienza con me stessa che un po’ per volta mi sarei emendata, che bastava che al momento non Vi offendessi avvertitamente.
Ma io non mi potevo tollerare e mi guardavo come nemica,
[24] odiavo me stessa e il mio corpo che aveva tanto offeso il mio caro Gesù…
Mi diedi di più alla penitenza, alla mortificazione, avrei voluto distruggere il mio corpo, tante volte mi lasciavo opprimere dal dolore, non mi era possibile prendere cibo né sonno, divenivo mesta.
La mia buona mamma, inconsapevole di tutto, mi credeva indisposta, mi obbligava ad andare a letto. Ma ben altro avevo io bisogno, avevo necessità di Voi, o dolce Amor mio.
Il mio buon Parroco avendomi conosciuta in quel tempo, mi credette savia per natura, ma gli dava pensiero quel comportamento, come egli diceva, troppo serio e malinconico in una ragazzina e, credendolo difetto, mi obbligava a giocare con le altre fanciulle, e senza saperlo, mi faceva fare un grande sacrificio. Il gioco era per me una pena.
[25] Sì, giocavo per obbedienza, ma terminavo la ricreazione più stanca che se avessi faticato assai, per lo sforzo che dovevo fare. E come potevo divertirmi con tante angustie? Sì, mi ero confessata, ma l’aver offeso il mio Gesù così buono ed amabile, mi era una pena continua, e poi non avevo fatta la penitenza.
4. LA S. CRESIMA, 6 ottobre 1861
[25] Avevo ricevuto la S. Cresima, mi pareva con devozione e con consolazione. La mia mente era più chiara, mi parve di sentire di più il vostro Amore, o Gesù, meditavo con più facilità e raccoglimento, vi conobbi con maggior chiarezza, ma ero sempre difettosa.
Vi degnaste farmi conoscere che Sua Ecc.Mons. Caccia che mi amministrò la S. Cresima era un vostro prediletto servo. Mi sentivo più coraggiosa, ma non contenta di me. Un vuoto senti-
[26] vo nel mio povero cuore che non sapevo spiegare.
Mi prefissi un metodo di vita cercando di imitare, dove potevo, il mio caro S. Luigino.
In questo tempo, inavvertitamente, caddi in una cisterna vuota, ma profonda. Fui levata fuori subito. Mi domandarono se mi ero fatta male; tacqui e dissimulai, per non farmi vedere né visitare, ma mi ero fatta male davvero.
Temevo di offendere il Signore e aspettai da Lui la guarigione. Portai il male per un po’ di tempo e godevo di offrire al Signore qualche cosa senza che lo si sapesse. Ma il buon Dio accettò il mio buon volere e mi fece guarire senza visite e medicamenti.
Sentii crescere in me una grande fiducia nel Signore e feci una promessa che, per amor di Dio e della S. Purità, non avrei mai
[27] permesso per tutto il tempo della mia vita, visite al mio corpo, pronta a morire anche nei più acerbi dolori. Questa promessa la feci in forma di voto a quattordici anni facendo anche l’offerta della mia vita.
Il caro mio Gesù mi suggerì un giorno di santificare con una mortificazione, con una penitenza o preghiera, tutti i luoghi nei quali avessi commesso qualche peccato o difetto, così pure gli oggetti, i mestieri, le ore.
E così feci: in un posto facevo croci con la lingua, oppure stavo in posizioni dolorose, o stavo lungamente con le braccia aperte, passavo a piedi nudi sulle spine e su pietre taglienti. O compivo atti di umiltà o d’obbedienza che costavano alla natura.
Fu in questo tempo che Gesù SS. mi insegnò a meditar meglio e,
[28] per avere sempre pronta la materia, imparai a memoria tutta la vita di Gesù Cristo e questo mi fu sempre di grande aiuto. Ricordare il fatto particolare della vita di Gesù, vederlo con tutti i suoi particolari come si vede un bel quadro, seguire con gli affetti senza poter minimamente ragionare, fu sempre il modo che sono stata obbligata a tenere per quanti sforzi abbia fatto per far diverso.
Incominciai in questo tempo, per ordine del mio confessore, un giornaletto spirituale di tutto quello che passava in me e faceva il Signore e operava, e lo continuai fino ai quattordici anni, e che poi bruciai. Incominciai pure a fare i due esami di coscienza, ma poi Gesù SS. volle che mi abituassi a fare l’esame di tutte le azioni volta per volta come feci, poi, sempre.
[29] Mi divertivo molto e preparare abitini per bambini per farne dono ai bambini poveri il giorno del S. Natale. Fu in questo tempo che in sogno mi parve di vedere il caro Bambino Gesù vestito di quegli abitini e conobbi che molto li gradiva.
Era la S. Notte di Natale, era veramente un sogno, ma rimasi tanto contenta e piena di allegrezza che non si può descrivere. Lasciò in me un’ impressione tale che, benché siano passati più di 30 anni, lo ricordo come fosse stato ieri. Quella vista e quell’aggradimento del S. Bambinello accrebbe in me la carità verso i poveri che avrei voluto donare loro tutta la roba mia e sempre l’ho sentita viva in me.
5. LA PRIMA COMUNIONE, aprile 1862
[29] Avevo compiuto i 9 anni e il mio buon Parroco mi disse che mi avrebbe fatto un bel regalo anticipandomi il tempo della prima
[30] S. Comunione.
Questa dolce notizia mi riempì il cuore di consolazione e mi parve l’aurora del sole che doveva rischiarare e riempire l’anima mia. Quanto invidiavo le persone che facevano la S. Comunione, come stavo volentieri vicina a loro quando erano appena comunicate!…
Sentii la dolce voce che mi disse: “Laura, dopo che mi avrai ricevuto e mi sarò donato tutto a Te, sarò nel tuo cuore mi amerai davvero?… Sarai sempre tutta mia? Ti lascerai davvero possedere da me?”.
La commozione mi prese, non potei rispondere e poi dissi: “Gesù, Gesù, fa Tu quel che vuoi da me, Tu sai che Te solo io desidero, l’Amor Tuo, la Tua Volontà”. Il pensiero della mia prima S. Comunione mi occupava dì e notte… Mi preparavo
[31] troppo con timore e Voi Gesù mio mi diceste che mi preparassi con amore e con più confidenza.
Allora fissai pure almeno cento atti d’amore al giorno, e per tutta la quaresima cercavo di fare tutto ciò che era più contrario al mio amor proprio, e che spiaceva alla mia natura. Imparai a memoria l’intero catechismo e l’apparecchio alla S. Comunione; ed ogni giorno facevo la preparazione e il ringraziamento come se realmente facessi la S. Comunione.
Fuggivo la compagnia e avrei voluto star sempre sola per poter pensare sempre a Gesù che doveva venire nel mio povero cuore.
Cercavo di leggere nelle vite dei Santi cosa fecero per prepararsi alla prima S. Comunione per poi farlo anch’io. Trovai che S. Luigi spendeva tre giorni per prepararsi alla S. Comunione, lui
[32] che era Santo e per me che ero così difettosa ce ne volevano molti di più. Evitavo, per quanto potevo, qualunque gioco, anche innocente con le mie sorelline per tenermi sempre più raccolta. Di notte mi alzavo a pregare Gesù carissimo, la cara mamma Maria SS. perché preparassero loro il mio cuore. Di giorno mi chiudevo in stanza per qualche ora sola, sola, onde trattenermi con Gesù SS.
Otto giorni ci misi a prepararmi alla Confessione generale e vi impiegavo, tra esame e l’atto di dolore, tre ore al giorno. Faticavo molto nel fare l’esame, e il dolce Gesù, sempre tanto buono con me, mi disse: “Impiega il tempo per meditare quanto ho patito io per te e non ti dar troppo cruccio per l’esame, che al
momento della Confessione ti aiuterò io”. E così feci. Nei tre
[33] giorni dei S. Esercizi il buon Gesù mi diede grande raccoglimento in modo che si accorse anche il mio buon Parroco. Temette che in quell’apparenza di immobilità e di devozione vi entrasse un po’ di amor proprio (avendo il primo posto della prima fila, davanti alla sedia dove stava predicando) mi osservava facilmente; mi fece qualche osservazione.
Avendomi un giorno provato il Catechismo e trovando che lo sapevo con franchezza, me lo fece dir tutto in mezzo alle altre ragazze e si meravigliò come avessi imparato, come egli diceva, tanta roba.
Mi donò una bella immagine e si mise a piangere di consolazione. Era tanto sensibile. Gesù subito mi fece conoscere che era tutta opera sua e per questo non sentii nessun pensiero di amor proprio.
[34] Feci finalmente la Confessione generale, e quanto debbo al mio dolce Gesù, perché, come mi aveva promesso, così fece. Al momento dell’accusa, senza sforzo, ricordai anche le minime colpe.
Quanti peccati, quanti difetti avevo commesso così giovane! La loro vista mi spaventò e ne provai grandissimo dolore, che mi sembrava mi si spezzasse il cuore. Si accrebbe di più quando
il confessore (che fu lo stesso mio parroco) mi dimostrò la
gran Bontà di Dio verso di me e le tante grazie che mi aveva concesso.
Promisi al Signore di esaminarmi scrupolosamente entro di me e fuori di me e intorno a me, quale occasione potessi avere di offendere ancora il mio caro Gesù e, a costo di qualunque sacrificio, di toglierle subito.
Difatti ne trovai varie. Il trovarmi con qualche ragazza, benché
[35] di apparenza buona ma troppo dissipata, mi faceva commettere sempre qualche mancanza e decisi di schivarle.
Avevo sentito che la gola è un pericolo e promisi al Signore di non spendere nemmeno un centesimo, né per frutto, né per dolci, né in altre cose inutili, di essere mortificata nel cibo, di non lamentarmi mai, quando però mi si donava qualche cosa di assaggiarlo per compiacenza, e, senza farmi accorgere, cercare per me sempre le cose più insipide ed ordinarie.
Sentii che il dormir troppo e in letto morbido era immortificazione, elusi le attenzioni materne, resi duro il mio letto ed abbreviai le ore del sonno.
Sentii che il trovarsi in luogo solitario e sola in strada poteva essere un pericolo, promisi di non fare un passo fuori la porta di
[36] casa mia se non per comando dei miei genitori per andare alla Chiesa o in scuola e sempre con qualche persona sicura.
Mi piaceva andare qualche volta al Camposanto, ad una devota Cappelletta della Madonna delle Grazie, ma se non ero accompagnata da mia zia, donna di esemplare virtù o dalla mia buona mamma, non ci andavo più nemmeno con le mie sorelle che erano molto pie.
Fatta la S. confessione, ero felicissima, ma mi angustiava un pensiero perché il mio confessore nel benedirmi dopo la S. assoluzione, mi disse di ringraziare il Signore che mi aveva conservata l’innocenza battesimale, e che mi aveva fatto tante grazie perché aveva dei grandi disegni su di me.
Il pensiero che mi angustiava era che non mi fossi spiegata bene
[37] col confessore e avessi alleggerite le mie colpe nel modo di manifestarle. Dubbio che mi dura tutt’ora e che il mio caro Gesù sempre mi lasciò.
Il mio confessore disse a varie mie amiche di venire da me e farsi insegnare il modo con cui mi ero confessata io, e così anche loro, accusarsi con la stessa sincerità. Queste vennero, infatti, ma mi dissero quanto loro disse il signor parroco, perciò io mi rifiutavo scusandomi col dire che non ero capace.
Lo feci, ma mi prese il timore di averlo fatto per amor proprio e allora sentii Gesù SS. come il solito dirmi: “L’essere stata chiara e schietta fu tutt’opera mia, ma le colpe commesse sono opera tutta tua, di che puoi gloriarti?” Mille ragioni aveva Gesù.
Ritornai a casa dalla Chiesa tutta occupata del gran Dono che
[38] dovevo ricevere, in compagnia delle altre ragazze tenendo gli occhi bassi come avevamo fatto in tutti i tre giorni dei S. Esercizi, pregando e pensando alla predica. E grande premura avevamo di non distrarci dicendo tra noi: “Giacché non abbiamo virtù da portare domani mattina a Gesù SS., portiamogli almeno un cuor netto e pulito”.
L’ultima predica del Paradiso e le ultime parole dette con tanto fervore dal nostro buon parroco, come le sapeva dir lui, ci avevano imparadisiate.
Appena arrivate a casa (verso sera) la mia buona mamma mi fece andare nella sua stanza, mi benedì, e mi disse: “O Laura, ricordati del gran Giorno che è per te domani. Sta qui, qui cene-
rai, qui reciterai le tue preghiere col papà e con me, farai un po’
[39] di apparecchio alla S. Comunione con noi”.
Così feci, mi benedirono tutti e due e chiesi loro scusa, baciai la terra, mi sembravano tutti e due commossi, mi dissero di chiedere a Gesù tante belle grazie, ma più di tutte la grazia di essere tutta Sua, di amar Lui solo, come essi sempre pregarono e desideravano per me. A letto non ho potuto chiudere un occhio come nelle notti passate.
Oh! il dolce pensier che Gesù doveva venire nel mio povero cuore mi toglieva il sonno e mi riempiva di gioia! Contai tutte le ore, e procurai di fare tanti atti di desiderio e di amore.
Appena le campane diedero il segno dell’Ave Maria, mi alzai subito, mi prostrai per terra, chiesi di nuovo perdono a Gesù e poi feci gli atti di Fede, Speranza, Carità, pentimento, amore e desiderio.
[40] La mamma mi benedì, mi aiutò essa a vestirmi, non volle che guardassi la veste che mi metteva, per mortificazione, e mi continuò a far pregare.
Mi mise tutto nuovo. Nel mettermi la veste, che era verde, mi disse di avere la speranza che Gesù mi avrebbe fatto tante grazie. Nel mettermi il velo bianco mi disse di chiedere per prima cosa a Gesù che mi conservasse la S. Purità e tutto il mio cuore per Lui. Mi accompagnò essa alla Chiesa facendomi tenere gli occhi bassi e pregare continuamente. In Chiesa mi consegnò a mia zia. Questa mi condusse al posto assegnatomi.
Nell’entrare in Chiesa appena vidi quella Porticina dorata, mi sentii riempire di tanta gioia e consolazione che non potevo
[41] nascondere e mi mosse fino a sorridere. Temetti di mancare di rispetto.
Inginocchiata, chinai il capo nelle mani, pregai Gesù di assistermi. Sentii in me qualche cosa di insolito. E come descrivere ciò che è passato da quel momento finché vi ebbi ricevuto nel mio povero cuore, o Gesù?.
Voi solo lo sapete e a me è impossibile scrivere.Voi faceste tutto, io non vidi più nessuno, non conobbi più il posto dov’ero. Non fui più capace di dire una sola parola. Aspettavo Voi, dolce Amor mio, ecco tutto. Vi ho ricevuto… Entraste nel mio povero cuore… Che fu dopo?…
Ditelo voi, Angelo mio che mi steste sempre vicino. Mi sentii impossessata, perduta in Voi, Gesù mio, una cosa sola con Voi, in un modo sì chiaro e sublime che nemmeno un Angelo
[42] saprebbe descriverlo… Incominciò allora quella Santa comunicazione, conoscenza, amicizia con Gesù Sacramentato, che fu sempre la vita della mia vita e che dura tutt’ora. Oh! Gesù Amor mio sacramentato, sei il tutto per me… Quando ti ho visto sotto le candide specie sacramentato non ho più desiderio di veder altro…
Quando ti ho udito, quando ti ho stretto al cuore anche per pochi minuti Gesù, Gesù per me nulla è tutto il resto del giorno…
Quando ho vicino il Tabernacolo, tutti gli incomodi e le strettezze della casa ove abito sono delizie… In me succedette un cambiamento notevole in tutto. Tutte le cose del mondo le conobbi come vanità e nullità e miseria. Rinnovai il mio voto di
[43] Verginità, che avevo fatto qualche anno prima e promisi per conservarlo di vivere più mortificata. Mi sembrava di essere divenuta di cera e che Gesù amabilissimo mi potesse plasmare come voleva Lui…
Amabile mio Bene, quante Sante impressioni faceste in me in quel S. giorno. Ritornata in famiglia, la mia mamma mi baciò in fronte (cosa che ella non faceva mai), mi disse che lo faceva, perché ero tutta di Gesù. Mi servì a colazione con una specie di venerazione… io avevo bisogno ben altro che del cibo.
Avevo bisogno di ritirarmi in un luogo nascosto e starmene sola, sola, in conversazione con Gesù e godere la sua cara compagnia. Io lo sentivo. Lo vedevo…
Ma non con gli occhi del corpo, ma dovetti per obbedienza stare
[44] tutto il giorno in compagnia delle altre ragazze. Venne in casa il mio buon parroco e mi disse: “Godi Laura, che oggi sei proprio Sposa di Gesù”… Io sorrisi, i presenti dissero che essendo così giovane non capivo quelle parole e invece Gesù in quel momento mi diede una chiara cognizione della grandezza e bellezza di una Sposa di Gesù e dei doveri che tiene con Lui.
Mi apparve alla mente in quel momento Gesù tanto bello, che lo ricordo al presente dopo quarantun anni come se lo vedessi ora. Mi sentii perduta in Lui e andavo poi ripetendo: “Laura, Sposa di Gesù… ma quali obblighi t’impone il tuo nuovo stato?… La Sposa è obbligata ad amare lo Sposo più di tutti, a vivere solo
[45] per Lui e a fare i suoi interessi”. D’allora in poi non mi giudicai e operai con la divina grazia con l’intenzione di rendermi cara a questo caro ed Amabile Sposo che aveva ferito il mio cuore.
“Sposa di Gesù”, andavo ripetendo giorno e notte, lo scrivevo dappertutto… Sui muri delle stanze, sulle porte, sulle vesti, su tutti i libri… Lo feci incidere su uno spillo che sempre portavo al posto delle spille… “Sposa di Gesù”, amarlo più di tutte, dunque non lo amerò mai abbastanza.
Mio dovere è impiegare tempo, roba, mente, cuore, corpo, affetti, mezzi tutti, sempre e solo per questo amabile Sposo che con tanta bontà mi scelse fra tante, migliori di me… Pochi giorni dopo, in occasione delle S. Quarantore mi fu concessa un’altra
S. Comunione.
[46] In questa seconda S. Comunione Gesù carissimo mi rinnovò le sue tenerezze, le sue grazie, ed io a Gesù le mie promesse e le mie carezze e di voler cercare solo il suo gusto in ogni cosa.
Nel giorno che ebbi la fortuna di fare la prima S. Comunione andai a visitare una povera e santa donna inferma e questa mi insegnò questa bella preghiera: “O Gesù, vi sarò fedele nel serbarvi il mio cuore, de’ infondete il vostro Amore, la dolcezza e l’umiltà”.
Mi parve che Gesù SS. con questo mi chiedeva in modo speciale la purezza, l’amore, la dolcezza, e l’umiltà. Mi proposi di cercare ogni mezzo per acquistare queste belle virtù. Alla sera, nel rinnovare le mie promesse mi parve che Gesù le
[47] gradisse e mi raccomandasse la mortificazione, il raccoglimento, l’amore al silenzio, l’orazione, e per molto tempo, Gesù si fece Maestro e guida in tutto…
Nella terza S. Comunione Gesù SS. mi fece conoscere il desiderio che dividessi la mia vita in preghiera e nel fare del bene alle ragazze della mia età e conobbi in ombra i disegni che Gesù aveva sopra di me.
Avevo una zia molto pia, questa si occupava molto delle mie sorelle e le insegnava molte cose buone, ma non si occupava di me. Io desideravo molto essere istruita nel bene e nell’esercizio delle virtù, ma Gesù un giorno mi disse che era Lui che così permetteva perché voleva essere Lui solo il mio Maestro e voleva istruirmi come piaceva al suo Cuore…
[48] Amavo molto la solitudine, e quanto godevo quando potevo chiudermi in qualche stanza od alzarmi di notte allo scuro e sola, sola, veduta solo da Gesù e con Lui sola adorarlo, ascoltarlo amarlo… O Gesù SS., Voi sempre buono eravate, sempre pronto con le Vostre SS. istruzioni e con carità Vi adattaste alla mia povera capacità.
La vita del caro S. Luigino, che leggevo e rileggevo, da saperla quasi a memoria, continuò a farmi un gran bene e a darmi nuove cognizioni nell’acquisto e nella pratica delle virtù.
Gesù SS. però volle incominciare a provare se l’amavo davvero e permise che venissi in scuola castigata senza colpa, fossi creduta bugiarda per un falso rapporto di una ragazza e che il giorno dell’esame mi fosse cambiato il premio per mala intelligenza, ma Voi, Amor mio, non voleste, mi discolpaste, e mi
[49] diceste: “Io pure fui castigato e calunniato e tacqui. Accusato ingiustamente e tacqui. Meritavo onori e mi trattarono come un malfattore e tacqui E tu mia Sposa parlerai, ti difenderai?”..
Allora offrii tutto a Gesù Amor mio e tacqui e mi lasciai credere colpevole. Gesù sempre generoso mi diede da allora in poi la grazia di godere, di sentir gusto, di essere umiliata con Lui.
6. PROGRESSI NELLA PREGHIERA
[49] E devo dirlo ad onore e gloria Vostra, o Gesù dolcissimo che, dall’età di nove anni fino ai quindici, ho passato anni di Paradiso. Così pure dai nove fino ai trentatrè quando feci la mia cara Professione religiosa, mi guidaste per mano, Vi sentii sempre vicino, mi avvertiste, mi istruiste con una bontà ineffabile.
O Gesù, Voi mi voleste tutta, tutta Vostra, e non permetteste che amassi altri che Voi e che ciò che piaceva a Voi, e che cercassi solo l’amor, l’onor Vostro e la Vostra gloria, e ad onta dei miei
[50] difetti ed imperfezioni Voi non Vi dipartiste mai da me e sempre sentivo la Vostra SS. voce, o con gli avvisi e rimproveri o consigli o con l’incoraggiamento.
Ai piedi del mio Crocefisso, o davanti al Tabernacolo o con la mia cara Madre SS. trovavo tutto, ogni sollievo e gusto. Forzata a far passeggiate, viaggi, prendere parte a qualche onesto divertimento, veder cose d’arte belle, ne soffrivo internamente, sebben esternamente procuravo, come era mio dovere, di essere allegra e compiacente.
Il camposanto, mi era prediletto luogo, dopo la Chiesa. Là, o Gesù mio, mi faceste conoscere il nulla e la vanità di tutte le cose, ed amare la morte, mi insegnaste a star sempre preparata alla morte. Eppure con tanti Vostri doni Vi offendevo ancora! E Voi, tutta Bontà e carità, invece di rimproverarmi, mi compati-
[51] ste e mi facevate coraggio, alleggerendo le mie colpe, sebbene quando mi presentavo al Tribunale di penitenza, me li faceste poi conoscere in tutta la sua bruttezza e gravezza.
7. LA MORTE DEL PADRE CESARE
[51] Avevo dodici anni quando il buon Dio in pochi giorni chiamò a sè il mio caro papà. I pochi giorni di malattia furono una scuola di Santi esempi! Quanta pazienza, rassegnazione e abbandono in Dio!
Morì nel pronunciare quel caro versetto del Te Deum: “In Te Domine speravi…” Chiese i SS. Sacramenti che ricevette con grande devozione e fervore da santo. Io ammiravo ora la pazienza del papà, ora la calma e la rassegnazione dell’ottima mamma, che giorno e notte non si staccava un momento dal letto.
Papà, ricevuti i SS. Sacramenti, ci benedisse ad uno ad uno, e a
[52] me diede una benedizione speciale, per quei disegni, come egli mi disse, che aveva il buon Dio su di me.
Poi, rivolto alla mamma le disse: “Giovannina, vi raccomando in modo particolare questa figlia, voi ben sapete i disegni di Dio su di lei”. Ella gli promise di avere una particolar cura di me.
Si chiesero scusa e si ringraziarono a vicenda, papà mi parve un po’ commosso. Mamma no, era calma come il solito. Ma quanto soffriva internamente. Nell’ultimo giorno volle che io leggessi le orazioni dei moribondi e la raccomandazione dell’anima… Mi pareva dormisse, cessai dal leggere.Mi domandò il perché, ed io gli dissi che temevo di stancarlo, ed egli con vita rispose: “No, no, mia cara figlia, non ci si stanca di pregare”. In questo giorno volle baciarci ad uno ad uno.E la mamma là, calma e
[53] serena e ferma a condurci ad una ad una al letto del papà, e senza una lagrima.
Dopo averci ancora benedette, ci raccomandò di essere sempre fermi nei veri principi con i quali egli ci aveva allevati, di essere sempre cristiani cattolici praticanti, di amarci, di amare e di rispettare sempre la mamma e ci disse che ci aspettava tutti in Cielo.
Alzò lo sguardo al Cielo in un modo così bello che sembrava un santo. Poi disse a me: “Figlia ti raccomando, corrispondi alle grazie del Signore, e sii sempre umile”.
Alle dieci di sera rese l’anima a Dio, assistito dai sacerdoti della parrocchia, che lo dicevano una delle colonne della loro Chiesa, e di tutta la famiglia. Ammirai l’eroismo della mamma che sebbene restava vedova col carico di una numerosa famiglia, composta di otto figli (4 ragazzi e 4 ragazze) e altre zie, zii, cugini, si mostrò sempre calma. Volle che tutti accompagnassimo il defunto papà, alla Chiesa, e al camposanto.
[54] Al momento di calare il caro defunto nella fossa, ci sentivamo opprimere dal dolore, e noi volevamo ritirarci. La mamma non volle e ci disse: “State qui a imparare il nulla e la vanità di tutte le cose”.
Quanto bene fece all’anima mia la calma e la rassegnazione della mamma, donna veramente forte, e la pazienza e la tranquillità del papà… Vi ringrazio infinitamente o Signore, di avermi dato genitori così virtuosi.
Il nostro ottimo Reverendo Signor Parroco diceva che la mamma era la donna più forte e rassegnata che egli abbia conosciuto. Lui invece piangeva perché diceva di aver perduto il suo unico e vero amico e un esemplare nella sua parrocchia.
Sentii immensamente la perdita del papà, e dopo pochi giorni caddi gravemente ammalata. In tre giorni fui in fin di vita.
[55] Povera mamma, quanto dolore! quante cure! Ricevetti i SS. Sacramenti e feci volentieri il sacrificio della vita…
Oh! il desiderio di vedere Gesù, quanto mi faceva desiderare e amare la morte.
Il mio buon parroco era assente, venne a casa e subito venne a trovarmi. Il medico non mi dava che poche ore di vita. Avevo appena un po’ di conoscenza ancora e ho sentito che il mio buon parroco mi diceva dopo avermi benedetta: “Figlia, mi pareva che il Signore avesse dei disegni su di te, avevo delle speranze per la mia Parrocchia, ed ora te ne vai in Paradiso?… Pregherai nevvero per me, per noi, per il mio popolo, per la tua famiglia, per la cara tua mamma” e poi si mise a piangere.
Mi fece baciare il Crocefisso, io ero commossa, ma non potevo parlare. Mi sopraggiunsero tre sbocchi di sangue e perdetti i sensi.
[56] Rimasi tre giorni in agonia… Esternamente ero senza sensi, ma mi sembrava di essere in una solitudine; sentivo vicino il mio caro Gesù. Al terzo giorno mi sembrò di risvegliarmi da un dolce sonno, e sentii l’Amabile Voce dirmi: “Una nuova vita voglio da te, corrispondi alle mie grazie, e compi la mia Volontà”.
Temevo, guarendo, di offenderVi ancora e Voi mi prometteste il Vostro aiuto la Vostra speciale assistenza. Intesi che volevate da me una vita più minuta e più pratica nell’esercizio delle virtù, e mentre mi prometteste la Vostra grazia mi raccomandaste che stessi attenta alla Vostra voce. Dopo tre mesi ero guarita.
8. ALUNNA ESTERNA AL COLLEGIO DELLE MARCELLINE DI VIMERCATE
[56] Mi parve che facendo la maestra avrei avuto più occasione di farvi conoscere ed amare, e provai a dedicarmi allo studio, ma lo studio faceva male alla mia salute. La mia buona
[57] mamma provò a mandarmi un anno dalle Suore Marcelline, ma lavoravo, più che studiare e non potei fare che la terza classe. Non feci gli esami per il carattere troppo timido.
La Suora mia Maestra, mi prese troppa affezione e mi usava troppi riguardi e anche gli sbagli miei presso di lei, erano virtù. Si fidava interamente di me e sebbene avessi solo tredici anni mi lasciava sola a custodire le altre ragazze, per una settimana (per causa di certi discorsi di ragazze imprudenti) stetti in grave pericolo. Il mio Angelo Custode fece in modo che non intendessi quei discorsi che mi avrebbero certo fatto un male grande. Avevo capito però che quelle ragazze erano dissipate e non volli star più con loro.
Con varie scuse ottenni di assentarmi dalla scuola nelle ore di
[58] ricreazione, e andavo a nascondermi sola in una Chiesina della Madonna Immacolata che vi è sotto l’Altare di S. Stefano. Come stavo bene! Là sola con la mia Madre SS. Che bella ricreazione! Che belle ore di Paradiso ho passato in quel Santo luogo! E questo lo feci per tutto l’anno.
Un altro pericolo ebbi in quei giorni. Dalla mamma fui consegnata ad una famiglia, credendola senza pericoli. Invece la prima sera mi condussero a teatro. Non potei rifiutarmi per non restare in casa sola, che era più pericoloso… Ma nell’entrare in teatro mi sentii serrare il cuore in modo che mi misi a piangere, tanto che il giorno dopo ebbi un forte mal di capo. Oh! come spiaceva a Gesù dolcissimo vedermi in quel luogo di peccati.
Mi pareva puzzasse tutto di peccati, e che i miei piedi, le mie
[59] vesti si lordassero di fango. Fin l’aria mi metteva nausea. La mia buona mamma lo seppe subito, ne fu molto addolorata, venne e mi levò da quella casa lamentandosi grandemente.
Mi consegnò poi a poveri, ma buoni contadini, gente proprio cattolica e fatti secondo il Cuor di Gesù. Là in quella casa potevo a mio bell’agio pregare, mortificarmi, privarmi di tutti i giochi fanciulleschi, perché mi lasciavano in libertà.
Mi ammalai un po’ in quel tempo, per un po’ di indiscrezione commessa nel modo di mortificarmi nel cibo e nel letto, perché fin allora facevo quanto mi veniva in mente, non sapendo che si doveva essere guidati in queste cose dal confessore.
Si accorse il mio confessore e mi proibì in parte le penitenze e le mortificazioni, sebbene ne facessi già poche.
[60] La suora che mi faceva da maestra mi chiese più volte se non mi sentivo di farmi religiosa con lei. Le risposi che sebbene amassi e stimassi il suo monastero non mi sentivo di entrarvi, perché io ne desideravo uno di più strette regole e che avesse la SS. Comunione tutti i giorni e almeno due ore di orazioni al giorno.
Avevo quasi 14 anni quando, un giorno, essendo sola in strada e leggevo (come facevo di solito), mi vidi vicino un giovane elegantemente vestito, di modi dolci ed educato.Mi spaventai a quell’improvvisa vista ed invocai con il cuore l’aiuto della Madonna e del mio Angelo Custode. Egli si accorse del mio turbamento e mi disse di non temere. Io tacqui e pregai.
Fatti pochi passi mi chiese il mio nome e di chi ero (mi trovavo
[61] sulla strada da Vimercate a Ruginello). Non risposi, ma non sapevo se dovevo andare avanti o tornare indietro, standomi lui sempre di fianco. Egli continuava a parlare, e dire molte cose che io non intendevo, solo intesi dire che era una pazzia per una giovinetta tanto sveglia darsi alla pietà e pensare di farsi religiosa e fare una vita tanto mortificata e tetra. Allora mi indispettii, gli dissi di non dire delle sciocchezze, che io non avevo bisogno e non volevo consigli da quelli che si trovano in strada, che avevo genitori e superiori che mi insegnavano quanto avevo bisogno d’imparare. Abbassai gli occhi, presi la mia corona e incominciai a recitarla. Non lo vidi più, non ho potuto capire dove sia andato.
Dopo pochi giorni trovandomi sulla strada ancora sola e veden-
[62] do il campanile della parrocchia, come il solito, mi portai con lo spirito davanti a Gesù Sacramentato e feci l’atto d’Adorazione e la visita (come i buoni genitori fin da bambini ci abituarono quando si vedeva un campanile a fare una visita a Gesù o almeno a recitare la giaculatoria: “Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento”).
Appena terminata la visita mi parve mi passasse vicino una carrozza di lusso. Dentro vi erano dei signori, mi chiamarono e mi fecero entrare nella carrozza, chiusa con loro, e mi trasportarono in città. Colà giunta mi trovai in una stanza elegantemente ammobiliata, con stoffe, pizzi, tappeti, specchi ecc. Mi guardai attorno e in mezzo a quel lusso mi sentii opprimere. Mi gettai in ginocchio ed esclamai: “Ah! no, Gesù mio caro, no, non è questo che vuole e che desidera la tua serva, ma una vita povera, una
[63] cella, una nuda terra, povere coperte.
Ricchezze, oro, onori, comodità, tutto il mondo intero lo rinuncio volentieri per Te. Te solo io voglio e Tu ben sai che non son fatta per queste cose mondane, ma solo per Te e per la Tua gloria”. Mi sentivo come schiacciare da quel lusso… Ma una Voce interna mi rispose: “Eppure mia Laura, se vorrai adempire il mio volere ti sarà giocoforza vivere molti anni in questo lusso. Io ti aiuterò e custodirò, ma fa di star in guardia e vigilante”… Mi svegliai come da un sonno, mi guardai attorno, ero sola in strada. Oh! Gesù mio, che è mai stato?… Mi sentii rispondere. “Obbedisci, Io sarò il Tuo Custode, il Tuo Maestro, il Tutto per Te, non temere”. Era un nuovo mistero per me.
Facevo in quei giorni un po’ di scuola di carità alle povere
[64] ragazze e con che piacere, ma mi fu proibito per salute. Mi fu permesso però di spiegare la dottrina cristiana alle giovinette e di farle recitare le preghiere mattina e sera.
9. LAURA A QUINDICI ANNI
[64] Avevo quasi quindici anni e mi sentivo ogni giorno crescere il desiderio di consacrarmi interamente al caro e dolce mio Gesù come glielo avevo promesso nella mia prima S. Comunione. Con quanta gioia pensavo al giorno che mi sarebbe stato permesso entrare in qualche sacro chiostro.
Un giorno il mio confessore mi disse: “Tu desideri farti religiosa, nevvero?” ed io gli risposi di sì, che lo desideravo proprio di cuore. Egli mi rispose: “Mi pare che per ora il Signore non ti voglia in monastero, ma in altro luogo ben differente. Però per
[65] ora non pensare a nulla solo che a metterti indifferente nelle mani dell’Obbedienza. Il buon Dio farà tutto… Tu, però, fà un giorno di ritiro e prega e tieniti pronta ad obbedire. Prega, figlia, prega molto”.
Ne sentii grande dolore, ma sentii Gesù che mi disse: “Sta calma, fidati di me, che tutto dispongo per il tuo miglior bene”.
Vi era in quei giorni una cosa che mi dava dispiacere, ed era che quando la mia mamma mi vedeva, si metteva a piangere e non poteva parlarmi. Era per me un mistero. Mi esaminavo se le avevo dato qualche dispiacere ma mi pareva, con la grazia del Signore, di no. Le chiesi se piangeva per mia colpa ma ella mi rispondeva: “Sta quieta, non pensarci non è per tua colpa”.
Non sapevo che pensare, pregavo caldamente il Signore di
[66] farmi capire qualche cosa. Passò qualche mese e un giorno fui chiamata dalla mia cara mamma in stanza. Là trovai anche il mio buon parroco. Tutti e due erano mesti. Io li guardai baciando la mano al signor parroco (perché papà e mamma volevano che baciassimo sempre la mano ai sacerdoti che venivano in casa).
10. LA PROPOSTA DI LASCIARE BRENTANA
[66] Il signor parroco mi disse: “Senti Laura, abbiamo fatto una cosa che riguarda te senza dirtelo, e tu ora ci devi obbedire per quanto non sia conforme ai tuoi desideri. Tu pensavi di andare in monastero, nevvero? Invece i signori N.N. ti chiesero per la loro famiglia e per stare sempre con loro e per riguardo alla tanta carità che fanno e per il tanto bene alla Chiesa, non abbiamo potuto dire di no e abbiamo loro promesso che ti avremmo condotta da loro a Milano…”
Tacquero e stavano guardandomi… Ciò che ho provato in quel
[67] momento è impossibile descriverlo, solo Gesù che in quel momento mi sostenne lo conosce.
Non ho potuto proferire una parola, mi pareva che il mio cuore mi si spezzasse e le mie ossa si slogassero; ma non piansi. Gesù si faceva sentire in modo sensibile. Mi inginocchiai e dopo pochi minuti di silenzio dissi: “Datemi la vostra Benedizione”. Mi benedirono. “Quando dovrò andare?” “Subito, da qui a qualche giorno” mi rispose il mio buon parroco. Gli dissi: “Lo volete voi, lo vuole il Signore e lo voglio anch’io”.
Allora compresi cosa voleva farmi conoscere Gesù dolcissimo con quella specie di sogno succedutomi in strada. Il pensiero di dover andare in città in mezzo al mondo, ai pericoli, mi faceva spavento e ne pativo assai, ma mi guardavo bene dal far cono-
scere esternamente il mio patire, per non angustiare di più la
[68] mia buona mamma e il mio ottimo parroco, anzi mi sforzavo di essere più allegra e contenta. Ma la mamma mi osservava da vicino e continuamente mi domandava: “Sei proprio contenta Laura?”.
Non volevo dir bugie e rispondevo: “Non sono abbastanza allegra, mamma?”. Infine nel benedirmi, prima di partire mi chiese ancora: “Dimmi la verità, Laura, sei proprio contenta?”. Allora le risposi: (credendo di acquietarla): “Sì, mamma sono contenta perché siete contenti voi e il signor parroco che mi tenete il posto del Signore, dunque è contento anche il Signore”.
Non l’avessi mai detto, questa risposta fu una ferita al suo cuore. Quanto ha sofferto, si credeva che divenisse pazza. Una donna di tanta virtù, così forte anche nelle più gravi disgrazie non seppe vincersi. Diceva di avermi sacrificata, di aver sacrifi-
[69] cato la mia vocazione, di essere andata contro i disegni di Dio, di avermi gettato così giovane ed inesperta in mezzo ai pericoli, di avermi abbandonata a solo quindici anni in mano a persone straniere e di avermi messo in un posto totalmente contrario alla mia vocazione. Povera mamma diceva il vero, ma ella aveva obbedito, ed eseguito, senza saperlo, il Volere di Dio su di me.
È appunto per vie tutte contrarie alle viste umane che dovevano essere compiuti i disegni di Dio su di me. Questo dolore pesava in tutta la sua amarezza sul mio povero cuore. E Voi, mio dolce Gesù, lo ripeto, avevate decretato questo fin dall’eternità per l’Opera tutta Vostra e mi foste sempre davvero Custode nei maggiori pericoli d’anima e di corpo. Maestro nella vita spirituale, Guida nei dubbi, il mio Tutto.