INTRODUZIONE

Inquadramento storico – ambientale

Le “Note spirituali”, autografe di madre Laura, coprono il periodo degli anni 1867 – 1880; insieme al “Metodo di vita”, steso fra il gennaio e il febbraio 1867, costituisce la prima finestra che la giovane Laura apriva sul suo mondo interiore. La redazione del Diario spirituale, infatti comincia il 16 gennaio 1882, quando la Serva di Dio era già tornata a Brentana e da due anni circa aveva dato vita alla sua fondazione.
Sono anni di intensa preparazione a quella che sarebbe stata poi la fondazione della Famiglia del S. Cuore di Gesù; anni nei quali Laura si forma come donna e come anima spirituale; sono gli anni della scoperta del S. Cuore, attraverso la direzione del gesuita padre Terzi, della partecipazione a pie associazioni consacrate a questa devozione. Laura vive in un periodo nel quale la devozione al S. Cuore conosce il periodo più luminoso e più fecondo di fondazioni consacrate a Lui.

– Cenni sulla storia della devozione al S. Cuore di Gesù
L’espressione “Sacro Cuore” designa prima di tutto il cuore di carne di Gesù; centro e agente principale della circolazione del sangue, il cuore è l’organo che dà vita a tutto il corpo. In Cristo Gesù il Cuore di carne è sostanzialmente unito alla seconda persona della SS. Trinità, al Cuore di Dio. Fu trapassato sulla croce dalla lancia e Nostro Signore volle mostrarlo a santa Marguerite-Marie Alacoque, monaca della Visitazione, nella apparizioni a Paray-le-Monial dal 1672 al 1675: “Egli mostrandomi il suo Cuore, mi disse: Ecco quel cuore che ha tanto amato gli uomini”. L’espressione Sacro Cuore designa non soltanto il Cuore di Gesù, ma l’amore di Gesù del quale il cuore di carne è il simbolo naturale[1].
Ignorata nell’Antico Testamento e nei primi dieci secoli del cristianesimo, la devozione al S. Cuore fu per molto tempo una devozione privata, ristretta a pochi fedeli che non avevano rapporti fra loro.
Qualche accenno al Cuore di Gesù si trova negli scritti di alcuni santi, quali S. Anselmo (1033 -1109) che nelle sue ardenti meditazioni sulla Passione di Cristo scrive: “Dulcis Jesus in inclinatione capitis et morte, dulcis in extensione brachiorum, dulcis in apertione lateris”[2]. Il santo, spiegando ciascuna delle manifestazione della divina mansuetudine, dice della ferita del fianco che questa ci rivelò le ricchezza della divina bontà, del suo amore, cioè del suo cuore verso di noi.
S. Bernardo (1090-1153) accenna al Cuore di Gesù nel discorso 61 sul Cantico dei Cantici, contemplando il grande mistero dell’amore del Figlio di Dio messo a nudo dalle ferita della lancia nel costato di Cristo. In altri scrittori sacri si trovano accenni di questo genere, ma più che di devozione al S. Cuore si può parlare di devozione al Cuore trafitto di Gesù, simbolo dell’amore del Redentore per gli uomini. E’ una devozione che nasceva nell’ambito della meditazione della Passione del Signore, ma non si sviluppava con atti esterni.
Nel XIII secolo avvengono alcune apparizioni di Gesù stesso che volle manifestare a qualche santa monaca il mistero del suo Cuore. Mostrò a santa Ludgarde (1182-1246)[3] la piaga sanguinante del cuore e unì il suo divin Cuore a quello della santa. Ma fu soprattutto santa Gertrude di Hefta la precorritrice della devozione al S. Cuore[4]. Dopo aver ricevuto le stimmate, rimaste però invisibili, e avere avuto il cuore trafitto da un raggio che partiva dal Cuore di Gesù, ella affondò la mano nel Cuore divino e la ritrasse ornata di sette anelli d’oro; con lei, anche la consorella Suor Matilde vedono il Cuore di carne di Gesù nella sua realtà umana e divina. Per santa Gertrude il Cuore di carne di Gesù è il glorioso simbolo dell’amore e tutti i sentimenti del Verbo Incarnato verso il Padre e verso gli uomini. Le rivelazioni di S. Gertrude e delle sue consorelle vennero approvate dai domenicani e dai francescani, ma, presto, furono dimenticate.
In ambito francescano la devozione al S. Cuore è strettamente legata alla meditazione della Passione di Cristo e all’ambito di grazie soprannaturali; è così per S. Francesco di Assisi, per S., Bonaventura, per S. Margherita da Cortona che pone le labbra sulla ferita del costato per penetrare nei segreti della divina tenerezza[5]; la B. Angela da Foligno che bevve il sangue ancora caldo uscito dal sacro costato[6]. Altri santi e beati, come Battista Varani[7], Francesca Romana[8], continuarono questa gloriosa tradizione, fino ad arrivare a S. Bernardino da Siena, l’apostolo del santo nome di Gesù che scrisse espressioni infuocate di amore verso il Cuore divino: “O amore che fai liquefare tutto, in quale stato hai ridotto il nostro Amico per operare il nostro riscatto? Affinché il diluvio dell’amore inondasse tutto, i grandi abissi hanno rotto le dighe, voglio dire la profondità del Cuore di Gesù: la lancia crudele ha penetrato sino nel fondo, senza risparmiare nulla. L’apertura del costato ci fa conoscere l’amore del Cuore di Gesù sino alla morte e ci invita ad andare a questo amore ineffabile che lo ha fatto venir sino a noi. Andiamo dunque al Cuore di Gesù, Cuore profondo, Cuore segreto, Cuore che non dimentica nulla, Cuore che tutto sa, Cuore che ama, Cuore che brucia di amore. La violenza dell’amore ha aperto la porta, entriamo; mando come Gesù, penetriamo nel segreto divino nascosto da tutta l’eternità. La ferita del costato lascia vedere il tempio eterno dell’eterna felicità”[9].
Un cenno particolare merita Ubertino da Casale[10] che nel suo Arbor Vita scrive delle pagine bellissime sui dolori del Cuore di Gesù; racconta che, meditando la Passione, beveva l’acqua della sorgente aperta in questo Cuore, amando immergersi “in quell’abisso di sofferenze dell’amore divino”.
La piaga del costato di Cristo è il centro di tutto; tutti i particolari espressi dai santi nelle loro estasi e visioni si coordinano in rapporto ad essa, anche quando si fa menzione del Cuore di Gesù; con S. Margherita Maria Alacoque sarà il contrario: i particolari sono quasi sempre gli stessi, ma è il Cuore che ne è il centro.
Dal XII al XVI secolo, non ci sono preghiere dedicate al S. Cuore comune fra i devoti. Questa devozione non ha segni, né immagini esteriori, al di fuori del Crocifisso perché la contemplazione del Cuore di Gesù passa attraverso la piaga del costato, ed è vissuta nel contesto della riflessione sulla Passione. Privata e informale, questa devozione non si esprime dunque né in atti, né in preghiere, né in immagini.
Diffusasi in Germania, sostenuta soprattutto dai monaci della Certosa di Colonia, e nei Paesi Bassi, questa devozione nel XVII secolo arriva in Francia e poi in Italia. Le prime figlie di S. Angela Merici erano molto devote del S. Cuore, come pure S. Francesco di Sales e alcuni monasteri della Visitazione, come quello di Paray-le-Monial, dove visse S. Margherita Maria.
Non si può parlare di devozione al S. Cuore senza almeno accennare alla figura di S. Jean Eudes[11], fondatore dei Padri della Congregazione di Gesù e Maria, delle Figlie di Nostra Signora della Carità e della Società del S. Cuore. Egli fu il primo a voler dare alla devozione al S. Cuore un culto liturgico. A partire dal 20 ottobre 1672 i sacerdoti della sua Congregazione e le Figlie di Nostra Signora della Carità celebrarono la festa del S. Cuore.
Certamente però la vera, grande apostola del S. Cuore fu S. Margherita Maria Alacoque; in seguito alle rivelazioni da lei ricevute, alle promesse fatte dal S. Cuore a coloro che ne avessero praticato la devozione, questo culto si espande per tutta l’Europa cattolica, avendo come centro propulsore la Francia e la Compagnia di Gesù.
Il culto della devozione al S. Cuore fu portato a Milano soprattutto per opera del Servo di Dio padre Giorgio Maria Martinelli, fondatore degli Oblati di Rho[12]. Nel 1699 egli aveva tradotto dal francese il libro dedicato alla devozione del S. Cuore scritto da padre Jean Croiset[13] dedicandolo alla governatrice di Milano, la principessa de Vaudemont; questa ne donò una copia al monastero della Visitazione di Arona, allora in diocesi di Milano.
Nel contesto della devozione al S. Cuore la figura di padre Croiset merita un accenno particolare. In stretta relazione con S. Margherita Maria Alacoque fin dal 1689, egli divenne un fervido apostolo della devozione al S. Cuore. La sua opera, edita a Lione nel 1691 con il titolo: La dévotione au sacré-Coeur de Notre-Séiegneur Jésus-Christ divenne ben presto il testo più letto e meditato da coloro che volevano approfondire questa devozione; la traduzione del Martinelli venne fatta appena otto dopo la pubblicazione. La storia della devozione al S. Cuore riconosce un ruolo preponderante a questa prima opera di padre Croiset; fu lui che fece uscire questa devozione dallo stretto cerchio degli amici e frequentatori della Visitazione per aprirla e farla conoscere al grande pubblico. La dottrina spirituale diffusa negli scritti, allora ancora inediti di S. Margherita Maria e implicita nell’opera Rètraite spirituelle, scritta dal primo direttore spirituale della Visitandina, padre Claude de La Colombière, morto nel 1682, veniva spiegata dal Croiset in termini chiari e ben comprensibili anche da un largo pubblico. Nella prima parte dell’opera l’Autore definisce l’oggetto di questa devozione: l’amore del Figlio di Dio manifestato nell’Eucaristia, ma misconosciuto dagli uomini, che deve essere riconosciuto ed onorato attraverso un ritorno di amore, che deve portare alla riparazione degli oltraggi e dell’indifferenza nei confronti del Cuore di Gesù: “Tutta la devozione – scrive il Croiset – consiste nell’amore ardentemente Gesù Cristo che noi abbiamo sempre con noi nell’Eucaristia e nel testimoniargli questo amore ardente attraverso il dolore che proviamo nel vederlo tanto poco amato e onorato dagli uomini e con i mezzi adatti a riparare questo disprezzo e questo poco amore”. Il Croiset nella seconda e terza parte dell’opera parla dei mezzi per acquistare questa devozione e offre dei consigli pratici di tipo ascetico, suggerendo dei pii esercizi, proponendo delle meditazioni che facilitino la pratica di questa devozione.
L’opera del Croiset, forse per la sua novità e anche per carattere troppo ardente dell’autore, nell’edizione del 1694 fu iscritta nell’Indice dei libri proibiti con decreto dell’11 marzo 1704; le ragioni di questo provvedimento, tuttavia, non furono chiare nemmeno a padre J. de Gallifet, a quel tempo assistente dei Gesuiti di Francia a Roma; sembra si concentrassero soprattutto sulla necessità di una traduzione latina del testo. Esso venne ritirato dall’Indice solo il 29 agosto 1887 grazie alle pressioni di mons. J. Stadler, arcivescovo di Serajevo che ne curò una traduzione in croato. Tuttavia moltissime edizioni e traduzione dell’opera del Croiset, si succedettero nel corso del XVIII secolo, magari modificando soltanto alcuni dettagli.
Il 9 luglio 1713 le Visitandine di Arona che conoscevano bene l’opera del Croiset, tramite la traduzione del Martinelli, giunsero in Milano per dare vita al Monastero tuttora presente in via S. Sofia che divenne un centro di irradiazione del culto al S. Cuore. A Milano la prima confraternita o Consorzio del S. Cuore venne eretta nella chiesa di S. Maria in Fulcorina nel 1724. Pare che il primo cuore del S. Cuore apparso in Milano sia stato quello fatto apporre da mons. Giambattista Tonetta, primo superiore del novello monastero della Visitazione, sulla porta del monastero; il S. Cuore di Gesù fra San Carlo Borromeo e San Francesco di Sales in atto di adorazione con il motto di Giobbe: “Visitatio tua custodivit spiritum meum” in una fascia volante dalla parte di S. Carlo verso S. Francesco di Sales. Il quadro fu distrutto nel bombardamento della notte dell’8 agosto 1943.
Anche l’opera di padre Joseph de Gallifet (1663-1749): “L’execellence de la dévotion au Coeur adorable de Jesus-Christ” dovette essere ben nota a Laura.
Tale opera costituisce un vero e proprio trattato di pietà e devozione al S. Cuore[14]. Le preghiere, le riflessioni, le meditazioni che Laura rivolge al S. Cuore risentono in modo abbastanza evidente dell’influsso di questa operetta che certo lei ebbe in mano, forse su consiglio di padre Terzi, nella versione italiana: “Eccellenza e pregi della divozione del Cuor adorabile di Gesù Cristo opera del padre Joseph de Galliffet della Compagnia di Gesù” edita dalla Tipografia Pogliani in Milano nel 1835 che conteneva anche la vita di s. Margherita Maria Alacoque e una storia della devozione al S. Cuore.
La sua opera sulla devozione al S. Cuore fu certamente letta e ben conosciuta da madre Laura; in essa l’autore dimostra come non si tratti di una devozione nuova, ma avente per autore lo stesso Gesù Cristo. Egli sottolinea come, in ogni festa che riguardi la santa umanità di Cristo vi sia un oggetto sensibile e corporale e un oggetto invisibile e spirituale, indissolubilmente uniti. In questo caso, l’oggetto sensibile è il Cuore di Gesù e l’oggetto spirituale è l’amore immenso che pervade questo cuore, un amore spesso dimenticato ed offeso. L’idea della riparazione e del tener compagnia a Gesù che tanto caratterizza la spiritualità della Baraggia, trae da qui la sua fonte: il Galliffet infatti insiste molto su questo amore del Cuore di Cristo disprezzato, dimenticato dall’ingratitudine degli uomini. Anche il frequente richiamo di Laura al S. Cuore di Gesù unito, nella devozione e nell’onore, a quello di Maria è un concetto che si ritrova nell’opera del Gesuita: “Il medesimo amore che ha portato Gesù Cristo ad associare sua Madre a tutta la gloria della quale gode nella chiesa trionfante, l’ha portato ad associarla a tutti gli onori che egli gode nella chiesa militante”[15]. A padre Galliffet si deve l’erezione dell’Arciconfraternita del S. Cuore nel 1729, alla quale si aggregarono ben presto le numerose confraternite erette soprattutto nelle nazioni cattoliche: Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Polonia.
Durante l’episcopato del card. Giuseppe Pozzobonelli (1743-1783) e precisamente nel 1775, i Gesuiti milanesi ottennero dalla S. Sede l’autorizzazione di far celebrare in onore del S. Cuore una messa votiva solenne una volta all’anno. L’opera dei Gesuiti nella propagazione del culto al S. Cuore fu fondamentale; anche i Barnabiti però curarono con molto zelo il culto al S. Cuore di Gesù, tanto che furono tra i primi a chiedere alla S. Sede la concessione dell’Ufficio e della Messa propria del S. Cuore. Il nome del loro generale figura fra i postulatori della Messa e dell’Ufficio, prima ancora che fossero concessi da Clemente XII alla Polonia e all’Arciconfraternita Romana nel 1765. Nel 1767 in Capitolo generale dei Barnabiti inoltrò una domanda affinché la Messa e l’Ufficio venissero estesi alla Congregazione; si può quindi presupporre che dal 1767 si celebrasse la Messa del S. Cuore nelle chiese di S. Barnaba e S. Alessandro.
Nel 1751 il card. Pozzobonelli approvò l’erezione della Confraternita del S. Cuore nel monastero di S. Sofia. La devozione al S. Cuore era tanto radicata in Milano che non soffrì minimamente di alcuna avversione, al contrario di quanto accadde in altre parti di Italia. La devozione superò anche il periodo delle soppressioni delle Confraternite ad opera dell’Imperatore Giuseppe II, ritrovando nuova vitalità.
Nel 1856 Pio IX estese la festa del S. Cuore alla Chiesa universale e nel 1864 Maria Margherita Alacoque, la Vistandina di Paray-le-Monial venne proclamata beata: il culto al Cuore di Gesù era ormai pubblico e solenne[16].

– Laura in casa Biffi
Laura visse ed assorbì fortemente questo slancio verso il Sacro Cuore; ai suoi tempi, nelle biblioteche delle persone devote, non mancavano i libri del padre Croiset, soprattutto quello sugli esercizi di pietà e quello dedicato alla devozione al S. Cuore che non smise mai di essere tradotto e pubblicato. Oltre alla Filotea del Riva che dedica numerose pagine alla devozione al S. Cuore, erano raccomandati altri testi: L’anima devota del Sacro Cuore di Gesù e Breve pratica di divozione del Sacro Cuore di Gesù. Da notare che erano letture destinate ai laici, quindi tale devozione era sentitissima e molto seguita. Spesso, in questi libri, erano contenuti un compendio della vita dell’Alacoque e anche accenni sui Santi che avevano praticato e amato questa devozione.

Le “Note spirituali” hanno per sfondo Milano e casa Biffi: una sottolineatura importante per capire alcuni aspetti di questo scritto. Il primo impatto con queste note non è facile: si ha l’impressione di leggere una serie di raccomandazioni, promesse, precetti minuti, preghiere che devono regolare le giornate di Laura, ripetuti in modo quasi ossessivo, fino talvolta a soffocare alcune bellissime pagine di vero slancio interiore verso il Cuore di Gesù. Ma occorre porsi dal punto di vista di Laura, vedere le cose e gli avvenimenti come li viveva lei e vivere le giornate come lei le viveva.
Iniziò la redazione di queste note non ancora sedicenne, sbalzata, quasi di colpo, dalla vita tranquilla del paese e dall’ambiente protetto e moralmente sano della sua famiglia, dove era stata educata alla fede, alla mortificazione, alla preghiera, nella grande Milano, in una famiglia borghese che ha progetti su di lei.
Laura a quindici anni era di carattere timido ed introverso, portato ad un’introspezione a volte fin troppo minuziosa; amante della solitudine e della preghiera personale, rifuggiva le compagnie chiassose e quanto poteva disturbare la sua pace interiore; così descrive se stessa nel “Diario Spirituale”: “Amavo molto la solitudine e quanto godevo quando potevo chiudermi in qualche stanza od alzarmi di notte all’oscuro e sola sola veduta solo da Gesù e con Lui adorarlo, ascoltarlo, amarlo” (DS, 48).
Aveva superato, dopo la prima Comunione, il tremendo conflitto interiore che per anni l’aveva tormentata tra il suo nulla e l’amore di Dio. Più fiduciosa nella sua grazia, si abbandonava a Lui anche con i suoi limiti e i suoi difetti. Di pari passo cresceva il senso della vanità, quasi di repulsa fisica, per le cose mondane: “tutte le cose del mondo le conobbi come vanità, nullità e miseria” (DS, 42). Tendeva quindi, con tutte le sue forze, ad acquistare quelle virtù che le sembravano proprie del Cuore di Gesù: “la purezza, la dolcezza e l’umiltà” (DS, 46), prefiggendosi come modelli la Madonna e S. Luigi Gonzaga, anche se il Cristo era e sarebbe rimasto l’oggetto quasi esclusivo del suo amore e della sua preghiera.
Laura amava praticare la carità verso i poveri e, nella sua parrocchia natale, si era dedicata ad insegnare il catechismo alle ragazze povere. Il suo carattere timido le impediva però di dedicarsi alla visita agli infermi o ad altre opere di carità che le avrebbero richiesto più disinvoltura. In lei rimaneva sempre, in fondo, la paura di trovarsi in situazioni particolari, nelle quali la sua virtù e la delicatezza della sua coscienza avrebbero potuto rimanere turbate.
Praticava la mortificazione con fervore, ma con l’ingenuità giovanile di chi non ha metodo, fino al punto che il parroco, don Ercole Riva, aveva dovuto intervenire proibendole di fare penitenze di testa sua[17].
Come ogni fanciulla, si poneva il problema del suo futuro, o meglio di come e dove realizzare il suo progetto di essere sposa di Gesù: “Avevo quasi quindici anni e mi sentivo ogni giorno crescere il desiderio di consacrarmi al mio caro e dolce Gesù come glielo avevo promesso nella mia prima Comunione”. (DS, 64)
Al momento della prima Comunione, nella primavera del 1862, aveva chiaramente avvertito quale sarebbe stata la sua missione, almeno riguardo a quegli anni: “dividere la mia vita in preghiera e nel far il bene alle ragazze della mia età” (DS, 47).
Avvertiva però anche altre attrattive sempre comprese nell’idea della consacrazione a Dio: “Andare missionaria nelle Indie” (DS, ++++) e, ancora di più, la vita claustrale, dato anche il carattere della Serva di Dio amante della solitudine e della preghiera. Il parroco però, in accordo con la madre di Laura, aveva pensato che, prima di ogni decisione, ella aveva bisogno di fare qualche esperienza fuori casa e fuori Brentana; doveva, prima di scegliere il suo futuro, aprirsi occhi e mente, formarsi come donna, per arrivare a scegliere il proprio avvenire in consonanza con la volontà di Dio, ma in modo responsabile e maturo.

Laura si trovò così, quasi di colpo, fuori famiglia, fuori paese, fuori dalla sua parrocchia, in una parola fuori dall’ambiente protetto nel quale era ormai abituata a muoversi. Nell’autunno del 1865 si prospettò per Laura un cambiamento radicale di vita e di abitudini. Per la verità non veniva mandata allo sbaraglio, ma inserita in una famiglia di benefattori della parrocchia, noti per la serietà di vita e di grande religiosità e carità. Francesco Biffi aveva già 72 anni, la sorella Clara 83, e Caterina 70; risiedevano per buona parte dell’anno in Milano, al primo piano di una bella casa in corso Monforte 10, vicinissima alla antica basilica di S. Babila, ma come tutti i possidenti terrieri amavano trascorrere le vacanze estive ed autunnali nelle loro campagne[18]. La parrocchia di Brentana era stata oggetto più volte della generosa beneficenza dei Biffi[19]. Nulla quindi da temere per la virtù di Laura e per il suo futuro.
I Biffi, in quell’autunno 1865, prima di rientrare a Milano, volevano condurre con loro una fanciulla del paese che potesse svolgere in casa le funzioni di segretaria del cav. Francesco e dama di compagnia delle due sorelle. Consigliatisi con don Ercole Riva, la scelta cadde su Laura che pareva avere i requisiti adatti. Ottenuto il consenso della madre, la decisione fu comunicata alla giovane: “Il sig. parroco mi disse: ‘Senti, Laura, abbiamo fatto una cosa che riguarda te senza dirtelo e tu ora ci devi obbedire per quanto non sia conforme ai tuoi desideri. Tu pensavi di andare in monastero nevvero? Invece i signori Biffi ti chiesero per la loro famiglia e per stare sempre con loro e per riguardo alle tante opere di carità che fanno e tanto bene alla chiesa non abbiamo potuto dir no e abbiamo promesso che ti avremmo condotta da loro a Milano” (DS, 66).
La giovane ne rimase certo stupita ed anche un po’ sgomenta, ma aveva già fatto dell’obbedienza il cardine della sua vita e chiese soltanto al parroco ed alla madre di essere da loro benedetta e non esternò quello che le passava nell’animo, ma quanto le venne chiesto le costò immensamente: “Ciò che provai in quel momento è impossibile descriverlo, solo Gesù che in quel momento mi sostenne, lo conosce. Non ho potuto proferire una parola, mi pareva che il mio cuore mi si spezzasse e le mie ossa si slogassero” (DS, 66-67). Che lo accettasse solo nella luce soprannaturale dell’obbedienza apparve chiaro anche alla mamma che, qualche giorno prima di partire, le chiese: “Dimmi la verità, Laura, sei proprio contenta? Le risposi: ‘Sì, mamma, sono contenta perché siete contenti voi e il sig. Parroco che mi tenete il posto del Signore, dunque è contento anche il Signore” (DS, 68).
Il 17 gennaio 1866, accompagnata dalla madre e dal fratello Francesco, la Serva di Dio raggiunse i signori Biffi a Milano: quattordici anni sarebbe durata la sua permanenza in quella casa e in quella città, dove, a poco a poco, avrebbe compreso quello che realmente Dio voleva da lei.

Per lei cominciava una vita nuova. Accolta in casa più come una figlia che come una persona di servizio, Laura si trovò subito circondata da attenzioni e da affetto: “I miei signori mi presero ad amare come una loro figlia; mi tennero sempre con loro. In quattordici anni nemmeno un giorno permisero che mi allontanassi da loro” (DS, 75). Se da una parte ciò le permetteva di godere di una discreta libertà nel seguire pie conferenze, pregare, frequentare la parrocchia, dall’altra però, almeno nei primi tempi, la sua posizione le comportò il dover vivere “alla moda” come si conveniva alle giovani borghesi e questo, nell’animo sensibilissimo di Laura, non poteva non sfociare in conflitti e tensioni interiori. Laura, infatti, non era una domestica, non si occupava di faccende di casa, era la “signorina”.
I Biffi erano anziani e quindi conducevano una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti di rilievo, di moderata e sana mondanità. Certo si può pensare che, non avendo né figli né nipoti, il cav. Francesco e la sorella Caterina abbiano riversato su di lei non solo affetto, ma anche una certa ambizione: fare di Laura una vera signorina, graziosa, elegante, farle una bella dote e, magari, riuscire anche a trovarle un buon marito.

Per prima cosa il cav. Francesco si preoccupò di perfezionare la sua cultura di base.
Laura, che aveva imparato a leggere a soli 4 anni, aveva frequentato con un certo profitto la scuola primaria del paese fino agli 11 anni; ma la scuola di Brentana, come tutte le scuole di paese, aveva i suoi limiti: una pluriclasse con una sola maestra. Le nozioni offerte erano rudimentali e spesso i maestri non eccellevano per la preparazione; Laura stessa ricordava la sua maestra come una pia donna, ma poco colta. I genitori che, cosa rara in ambiente rurale, sapevano leggere e scrivere e tenevano molto alla istruzione dei figli, l’avevano poi mandata a frequentare come esterna le scuole del Collegio delle Suore Marcelline di Vimercate, alloggiandola presso una famiglia amica. La cosa durò solo un anno dal 1864 al 1865: Laura aveva un carattere troppo timido per sostenere gli esami e poi, fuori casa si sentiva persa e a disagio[20].

A Milano il cav. Francesco le fece prendere lezioni di contabilità e di francese; inoltre fu certamente costretta a parlare in buon italiano; come dama di compagnia di Caterina era suo compito leggerle dei buoni libri, accompagnarla a messa, alle prediche e così abituarsi ad ascoltare persone sagge e colte come i Gesuiti della vicina chiesa di San Fedele.

Dopo un tirocinio di formazione di due anni, Laura venne giudicata pronta a rivestire il ruolo di segretaria; per questo trascorreva molte ore nello studio del cav. Francesco, il quale curava personalmente l’amministrazione dei suoi beni, mentre ella doveva fare i conti, trascrivere le note di contabilità, scrivere lettere ai fattori, leggere la corrispondenza, i libri, i giornali. E poi doveva uscire ad accompagnare l’anziana Caterina a fare spese, in chiesa, dalle amiche. Una giornata piena che si concludeva alle 9 di sera con la recita del Rosario alla quale partecipava anche la servitù. I Biffi erano ottimi cattolici e lasciavano alla servitù la più ampia libertà religiosa, facilitata dal fatto che la casa era vicinissima alla chiesa di S. Babila: “Anche le persone di servizio potevano ascoltare la S. Messa tutti i giorni e fare la visita al SS. Sacramento ogni giorno. Alla festa gli stessi signori volevano che le loro persone di servizio assistessero al Vangelo e alla dottrina e davano una mattina libera agli uomini per andare a ricevere i SS. Sacramenti ogni quindici giorni; alle donne ogni 8 o 15 giorni”(DS, 75). Talvolta Laura accompagnava la famiglia nei viaggi e nelle visite di convenienza; questo le costava molto, tuttavia si sentiva protetta dalla sollecitudine dei Biffi che “avevano mille cure per custodirmi” (DS, 76).
Come componente della famiglia, era presente alle visite che, a loro volta, i Biffi ricevevano; si sforzava in quelle occasioni, che pur non avevano nulla di mondano, di mantenere un atteggiamento riservato, quasi schivo che non sempre venne capito dagli estranei: “per evitare i soliti complimenti del mondo dovetti soffrire umiliazioni, ingiurie, disprezzi, motteggi, comparire ineducata, ma tutto, con la divina grazia, mi riusciva facile e di grande contento, per essere fatto per piacere al mio dolce sposo Gesù” (DS, 131).
La stanza che era stata assegnata a Laura aveva una finestra in diretta corrispondenza con la chiesa di S. Babila: dalle persiane socchiuse ella, alla sera, poteva scorgere il bagliore della lampada che ardeva davanti al SS. Sacramento. Quell’angolo divenne il suo oratorio e lì, nel silenzio, si chiudevano le sue giornate; lì si metteva in ginocchio, alzandosi dal letto, quando di notte si svegliava: “Avendo la fortuna di avere la finestra verso la chiesa dove potevo vedere la lampada che ardeva davanti al mio Amore sacramentato, tenevo socchiuse le griglie e là adoravo il mio Gesù SS.mo. Quante grazie e quanti lumi mi donava. Le ore passavano come minuti”(DS, 113-114).
Anche esteriormente Laura fu costretta ad adeguarsi all’ambiente in cui viveva: “Mi donarono molte vesti e molte cose d’oro. Mi amavano troppo e non conoscevano il pericolo che sono per una giovinetta le cose di lusso. Mi vollero pettinata e vestita alla moda” (DS, 75-76).
In effetti, una fotografia della Serva di Dio di quell’epoca la ritrae nell’acconciatura semplice, ma elegante, delle fanciulle di buona famiglia. Come era prevedibile, data la sua eccessiva scrupolosità, questo abbigliamento, tanto in contrasto con i suoi desideri di austerità, scatenò in lei profonde tensioni che si acquietarono solo in parte con la voce dell’obbedienza: “siccome però capivano che non ero quieta e mi angustiavo, temendo di offendere il Signore, me lo fecero comandare dal mio confessore, il quale era troppo buono e mi assicurava che potevo in tutta quiete pettinarmi e vestirmi alla moda” (DS, 76). Chi fosse il confessore di Laura in quel momento non è dato saperlo con certezza perché ella non ne tramanda il nome: poteva essere il Parroco di S. Babila o uno dei sacerdoti amici dei Biffi. Una certa relazione Laura l’aveva mantenuta con don Riva, il suo antico parroco, come si vedrà più sotto.
La stanza di Laura era ammobiliata secondo il gusto un po’ barocco del tempo con tendaggi, specchi e tappeti e provvista di tutto, secondo quelle comodità che allora poteva offrire una casa benestante. Questo causò in lei un certo disagio cui pensò di rimediare cercando di non far uso se non delle cose indispensabili; scrive nel suo “quaderno”: “Feci la rinuncia di tutte le cose; poi presi il tappeto e lo piegai; levai dal letto la sopraccoperta di lusso; voltai lo specchio verso il muro ed allontanai dal letto tutto ciò che era inutile, poi inginocchiata pregai lungamente” (DS, 74).

Soprattutto nei primi tempi del suo soggiorno milanese è evidente in lei un forte conflitto interiore: come creare e mantenere l’equilibrio fra l’aspirazione ad una vita penitente, claustrale, nascosta e il dovere verso i Biffi che le imponeva di accettare il loro stile di vita? Come difendersi dalle attrattive verso il bello, il comodo, l’elegante che una fanciulla di 16 anni sente in modo naturale e spontaneo? Cosa è realmente peccato e cosa è, invece, semplicemente parte della vita, della crescita, della maturazione umana? Cosa è vanità, ambizione, attaccamento e cosa invece semplice esperienza di un mondo nuovo?
Per Laura in alcuni casi questi conflitti sono laceranti, la lasciano spossata e triste: “obbligata a vestirmi e pettinarmi di moda per obbedienza, andare a qualche onesto divertimento, fare viaggi […] era un martirio. Quanto soffrivo. Gesù dolcissimo non mi lasciava quieta, non era contento” (DS, 101-102). È molto probabile che tale disagio fosse dovuto soprattutto al fatto che Laura si sentiva sola, senza una guida sicura, capace di indirizzarla; anche per quanto riguardava la sua vita di preghiera si arrangiava come poteva. Aveva paura: paura di offendere anche minimamente Gesù, paura di sbagliare, paura di scegliere una strada diversa dalla consacrazione religiosa, paura di attaccarsi al mondo. si sentiva sola, lontana dall’ideale di vita che credeva suo e senza neppure una speranza di poterlo realizzare a breve termine, in un mondo diverso da quello in cui era cresciuta gelosamente, custodita dalla cura dei suoi genitori. Non si può però escludere che anche da parte di Dio vi fosse un’azione diretta in questo suo disagio: era forse quella gelosia divina con la quale Egli tormenta alcune anime finché non siano tutte e totalmente e fortemente sue?
Laura dice di “sentire” la voce di Gesù, di “vederlo” vicino a lei; non in modo fisico, ma tuttavia forte e reale: “Io, con gli occhi del corpo non vedevo niente, eppure lo vedevo, lo sentivo in un modo chiaro, sempre a me vicino. Sentivo la sua dolcissima voce. Se appena pronunciavo una parola inutile o facevo qualche cosa non bene, egli subito mi correggeva con una bontà che mi inteneriva. Gesù dolcissimo non mi lasciava quieta, non era contento. Continuamente mi diceva che voleva da me una vita totalmente mortificata, umile, raccolta, da vera religiosa nel mondo”(DS, 101).
Mentre viveva tale tensione interiore Laura ebbe tra le mani la biografia di Bartolomea Capitanio[21] e in tale lettura trovò quello che sarebbe divenuto il suo metodo di vita: “Pensai che mi avrebbe fatto bene un metodo di vita, ma non sapevo come formarlo. Mi venne donata la vita della ven. Bartolomea Capitanio” (DS, 78). La figura della giovane maestra di Lovere dovette affascinare la Serva di Dio per più motivi: quasi coetanea, innamorata della vita contemplativa, sentiva ugualmente forte l’attrattiva per le opere di carità, in particolare la scuola per le fanciulle povere. Laura formulò così un suo metodo di vita ricalcato su quello della Capitanio e lo inviò al suo antico parroco, don Ercole Riva.
Questo metodo regolava con metodica precisione ogni ora e momento della giornata: le preghiere, le mortificazioni, i momenti di silenzio, le intenzioni interiori di ogni singola azione. Laura lo riportò nelle prime pagine delle “Note spirituali”, come cammino verso la soluzione dei suoi conflitti interiori.
All’apparenza soffocante e monotono, questo metodo costituisce per Laura una liberazione: il binario entro cui camminare, sentendosi finalmente più sicura. Ogni ora della giornata, ogni azione, ogni moto interno ed esterno è ritmato dalla preghiera e indirizzato a gloria di Dio ed anche il sacrificio di indossare vesti alla moda può divenire sopportabile dal momento che ella vive nell’obbedienza. Il suo confessore (non si sa se in questo caso fosse don Riva) le impose di esaminarsi “tutte le sere se l’aveva osservato; voleva ogni mese vedere in che avessi mancato” (DS, 93).
Laura, pur sentendosi più tranquilla, sottopose all’approvazione del confessore anche l’elenco, per così dire, delle sue preghiere e mortificazioni quotidiane. Tutto questo può sembrare un po’ rigido e poco liberante dal punto di vista interiore, ma non va dimenticato che Laura è figlia del suo secolo, in cui solo ai monaci era concesso recitare l’ufficio divino e accedere alla Parola di Dio con il metodo della “lectio divina”; la maggior parte delle persone che vivevano nel mondo e volevano costruirsi una vita di orazione lo facevano attraverso le preghiere vocali, le piccole devozioni, le pie letture, le pratiche di pietà legate alle confraternite e alle parrocchie che frequentavano. Ciò non esclude che, con la grazia di Dio ed il fervore sincero, anche con questi mezzi, in apparenza semplici, si possa raggiungere, come asserisce S. Teresa d’Avila nel suo “Cammino di perfezione”, un alto grado di unione con Dio. Nella scelta di adesione a queste compagnie e confraternite Laura predilesse quelle dedicate al S. Cuore di Gesù; diede prova anche di essere abbastanza aggiornata in fatto di devozioni: aderì infatti all’Opera della S. Infanzia fondata in Francia nel 1843, a quella della Propagazione della Fede fondata anch’essa in Francia nel 1820 e a quella ancora più recente di Nostra Signora del S. Cuore conosciuta in Italia intorno al 1870.
La apparizioni del S. Cuore a S. Maria Margherita Alacoque a Paray Le Monial nel 1610 e quelle dell’Immacolata con la medaglia miracolosa a s. Caterina Laboré nel 1830 avevano suscitato una profonda devozione verso i SS. Cuori di Gesù e Maria; soprattutto ad opera dei Gesuiti erano sorte Associazioni e Confraternite legate a questo culto che si erano rapidamente diffuse; le più note erano quelle della Guardia del S. Cuore e l’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria per la conversione dei peccatori.
E’ molto probabile che Laura abbia anche avuto la possibilità di leggere gli Annali della Propagazione della Fede e quelli di Nostra Signora del S. Cuore che costituivano una novità nell’ambito delle pubblicazioni cattoliche del tempo.
Alcune di queste Associazioni, come le Figlie di Maria Immacolata e il Terz’Ordine Francescano, imponevano uno stile di vita morigerato e casto, improntato alla modestia, alla carità e alla preghiera; a Laura erano congeniali perché venivano a soddisfare il suo desiderio di vita religiosa e la ponevano, per così dire, in una dimensione di sicurezza interiore.
Fra le diverse Pie Unioni e Associazioni cui si iscrive, Laura predilige quelle dedicate al culto del SS. Sacramento e del S. Cuore; queste devozioni avranno una notevole influenza sulla sua spiritualità futura.
Laura, inoltre, già da qualche tempo aveva ottenuto di fare, ogni giorno, “due ore di meditazione” (DS, 96) e poi c’erano i momenti rubati al sonno e passati nella silenziosa adorazione del SS. Sacramento attraverso le griglie socchiuse della sua camera: momenti unici e intimi e, proprio lì, nella silente solitudine di quella stanza avrebbe vissuto l’esperienza mistica della “bella notte” del febbraio 1879 e la volontà di Dio su di lei le sarebbe apparsa chiara e luminosa nel presente e nell’avvenire.
Le Confraternite e associazioni alle quali si era iscritta consentono anche di individuare le chiese che abitualmente frequentava: San Babila, sua parrocchia, S. Carlo al Corso, retta dai Servi di Maria che incrementavano la devozione alla Madonna Addolorata, S. Stefano, ove aveva sede l’oratorio delle Canossiane con le Figlie di Maria, S. Maria della Sanità, dove confessava padre Terzi, S. Maria Segreta, sede della Confraternita dell’Angelo custode, S. Maria delle Vittoria, sede dell’arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, S. Maria del Carmine, dove è venerata la Madonna del Carmelo, S. Celso con la Madonna dei Miracoli e, possiamo supporre, il Duomo e la chiesa del monastero della Visitazione di S. Sofia, vero centro della devozione al S. Cuore.
La stesura del Metodo vita che si impegna ad osservare a partire dalla Pasqua del 1867 l’aveva certo resa più serena, ma avvertiva la mancanza di un vero e proprio direttore spirituale: “Sentivo il bisogno di un confessore forte e serio. Pregavo continuamente, facevo penitenza e digiuni per ottenerlo dal Signore. E continuai così per quasi due anni” (DS, 102).
Nel 1869 Laura incontrò il gesuita Padre Ottone Terzi, valente predicatore ed apprezzato direttore spirituale, molto noto in Milano. Laura lo conobbe quasi per caso, essendo stata invitata a partecipare ad una conferenza per fanciulle nella chiesa di S. Stefano dove le Madri Canossiane avevano aperto un piccolo oratorio femminile: “teneva una conferenza un sacerdote che all’aspetto mi parve un santo. Al vederlo sentii la voce del mio Gesù che mi disse: ‘Vedi, questo sarà il tuo direttore, a lui devi obbedire ciecamente”[22] (DS, 102-103).
Si trattava appunto di p. Ottone Terzi della Compagnia di Gesù[23] che confessava nella vicina chiesa dei Crociferi, in Via Durini[24]. In quella occasione aveva radunato circa una ventina di ragazze, di cui Laura era la più giovane, per raccogliere le adesioni all’associazione delle Figlie di Maria.
A quel primo incontro ne seguirono altri più incisivi. Nella chiesa dei Crociferi la Serva di Dio si confessò per la prima volta da p. Terzi ed instaurò con lui un rapporto destinato a durare nel tempo. Informatosi sulle sue condizioni e la sua provenienza, p. Terzi accettò di seguirla, confermandola nella sua vocazione religiosa. Fu la stessa voce interiore di Gesù che la sostenne anche questa volta nella sua scelta: “Vidi in un confessionale quel padre che ci aveva tenuto la conferenza. Sentii la dolce voce che mi disse: ‘Va’, confessati da quel mio Servo […]’. Appena terminata l’accusa, stette un momento senza parlare, mi sembrava pregasse. Poi mi disse queste parole: ‘Figlia, io non ti conosco, ma devo dirti che il Signore ti ama di un amore di predilezione […]’” (DS, 105).
Dopo un incontro con don Ercole Riva, il parroco di Brentana che la conosceva fin da bambina, p. Terzi manifestò a Laura quello che gli pareva più opportuno: “religiosa nel mondo perché così voleva per il momento il Signore” (DS, 108) e pertanto, sebbene con sacrificio, ella dovette abbandonare l’idea del chiostro. Le fu permessa la professione nel Terz’Ordine Francescano e p. Terzi, per meglio conoscerla, volle che mettesse “in iscritto tutte le grazie del Signore, i miei desideri, i miei pensieri. Mi fece fare un po’ di giorni di S. Esercizi e mi permise la confessione generale […] Approvò il mio metodo di vita e mi permise il voto di uniformità al volere di Dio e quello di stare alla presenza del S. Cuore di Gesù e in prova quello di maggior perfezione” (DS, 109).
P. Terzi le permise di abbandonare quelle esteriorità che tanto le pesavano: da quel momento la Serva di Dio adottò una semplice acconciatura racchiudendo i capelli in una reticella (come poi porteranno le sue suore), indossò vesti modeste e lasciò ogni ornamento d’oro.
Non fu facile far accettare ai Biffi questo cambiamento, “temevano mi facessi religiosa e li lasciassi” (DS, 111). Dovette intervenire p. Terzi per rassicurarli e da allora Laura fu lasciata libera di agire secondo le direttive del suo nuovo confessore.
L’opera più importante di p. Terzi non fu però quella di confermare Laura nella sua vocazione religiosa e di permetterle di vivere finalmente secondo uno stile più austero, quanto piuttosto di forgiarne il carattere e la volontà dissipando quei dubbi che spesso la tormentavano: “il mio nuovo direttore mi mise sotto una severa obbedienza; mi faceva rinnegare in tutto la mia volontà. Bastava che conoscesse che desideravo una cosa e mi piacesse che dovevo subito cambiarla, lasciarla, smetterla e fare il contrario. Anche nelle pratiche di pietà e di devozione” (DS, 111).
Così, spesso la mandava a passeggiare sui bastioni di Porta Venezia, quando ella avrebbe desiderato fermarsi più a lungo in chiesa, e le faceva talvolta indossare le vesti eleganti di un tempo; in sostanza p. Terzi voleva che Laura acquistasse quella piena libertà interiore che ancora le mancava e che le permettesse di rimanere e sentirsi unita a Dio in qualunque luogo e in qualunque circostanza.
Egli le lasciava un ampio spazio decisionale per quanto riguardava le scelte fondamentali perché, in ogni caso, doveva essere lei a decidere della sua vita e del suo avvenire, soppesando anche l’eventualità della vita matrimoniale: “In quel tempo venni chiesta in matrimonio da vari signori ed il mio direttore, al quale tutto riferivo, mi lasciava far da sola” (DS, 122). Anzi, per provarla nella vocazione, “mi diceva: ‘perché ti rifiuti a tutte le domande. In società potresti fare tanto bene, dare buon esempio, guadagnare anime a Gesù che tanto ami. Essendo ricca, potrai soccorrere tanto i poveri” (DS, 124).
La perseveranza di Laura nella fedeltà a “Gesù che solo doveva essere il mio tutto, Lui solo il padrone assoluto del mio cuore, del mio corpo, dei miei affetti” (DS, 124), persuase p. Terzi dell’autenticità della vocazione della Serva di Dio ed egli stesso la confermò nel suo proposito.
L’opera saggia e prudente di p. Terzi in quegli anni rese più sicura la personalità di Laura, la fece crescere e maturare come donna e la rese capace di muoversi “nel mondo” con più disinvoltura, ancorata alla volontà di Dio e al proposito che teneva in cuore di essere religiosa.
Padre Terzi lavorò molto anche per renderla più sicura di sé, capace di assumersi oneri morali e responsabilità; volle che fra le Figlie di Maria rivestisse vari incarichi: lettrice, consigliera, segretaria, vice presidente, presidente (carica che mantenne fino alla sua partenza da Milano). Con il suo carattere schivo ne avrebbe fatto volentieri a meno, “ma il mio confessore lo voleva” (DS, 126); Gesù stesso le fece intendere che “questo è un tratto della mia provvidenza per farti fare l’esperienza di quello che in grande dovrai fare un giorno” (DS, 126).
Di pari passo Laura cresceva in età e responsabilità anche all’interno di casa Biffi. Caterina infatti morì il 10 gennaio 1876. La solitudine in cui il vecchio signore si era venuto a trovare lo aveva legato ancor più a Laura che amava come una figlia: “Dovevo essere sempre in sua compagnia, andare in carrozza, in viaggio insieme. Aveva una fiducia illimitata in me; mi diceva, anche in pubblico, il suo angelo custode, il conforto della sua vecchiaia […] Voleva il mio signore che pranzassi con lui per fargli compagnia” (DS, 135-136).
La familiarità con cui il cav. Biffi trattava Laura ed il ruolo che aveva assunto in casa diedero adito a pettegolezzi, dettati probabilmente anche dall’invidia e del tutto infondati; Laura ne fu turbata, ma p. Terzi la rassicurò facendole intendere che quello era ancora, fino alla morte del Biffi, il posto in cui Dio la voleva.
La situazione si fece più delicata e critica agli occhi esterni, quando il Biffi, ossessionato dalla paura di essere ucciso come era accaduto ad un suo conoscente assassinato da un servitore, licenziò tutto il personale domestico, trattenendo presso di sé soltanto Laura: “[…] Non volle più nessuno nel suo appartamento. Alla sera si chiudeva in due stanze solo con me e questo fu causa di calunnie. Per quattro anni dovetti fare ciò. Io passavo le notti vestita, seduta su una poltrona e potei dare più ore all’orazione” (DS, 137).
Non era certo una situazione facile, tanto più che Laura dovette sobbarcarsi tutte le incombenze di casa. Nel frattempo si faceva sempre più certa in lei la chiamata allo stato religioso, secondo un disegno che la Serva di Dio sentiva ben preciso dentro di sé fin dal 1874: l’appartenenza ad un’ “istituzione che dovrebbe zelare l’onore di Dio e la salvezza delle anime e l’istruzione della gioventù unendo vita attiva e contemplativa” (Esercizi Spirituali 1874 – conclusione).
Molti interrogativi si affacciavano però ancora nella mente della giovane: nel 1877, chiudendo i suoi esercizi privati, era giunta alla convinzione che tale istituzione doveva consacrarsi a “procurare il bene della cara e semplice, ma per disgrazia fredda popolazione della campagna” (Notis, Chiusa dei SS. Esercizi, 25 dicembre 1877). Tuttavia non sapeva se tale “istituzione” doveva partire da lei o era già formata nella Chiesa ed ella doveva solo entrarvi apportandovi le sue energie. P. Terzi era ancor più all’oscuro.
Laura non aveva fatto parola di questa intuizione né con lui, né con don Ercole Riva; pregava, pregava tanto perché, come ella stessa diceva, il buon Dio facesse “conoscere la volontà al mio buon direttore spirituale” (Notis, Chiusa dei SS. Esercizi, 25 dicembre 1877).
In tale situazione Laura arrivò fino al 2 febbraio 1879, quando il Signore stesso le mostrò cosa realmente doveva essere quella “istituzione” che da tanti anni era l’oggetto dei suoi desideri.

Non si può non citare almeno per sommi capi l’esperienza mistica che Laura visse il 2 febbraio 1879 e la notte di poco successiva. Le Note spirituali vi accennano chiaramente in una preghiera datata 7 febbraio 1876. In essa Laura ringrazia il Signore perché il direttore spirituale ha approvato quanto Egli stesso le aveva ispirato.
Il Signore, durante l’adorazione eucaristica pomeridiana nella chiesa di S. Babila, le aveva fatto udire la sua voce, in quel modo con cui fin da fanciulla era solita sentirla, non con le orecchie, ma interiormente. La voce la invitava a guardare: “un’estensione sterminata, innumerevoli anime avvolte in una fitta rete che cercavano di rompere. Un momento dopo mi trovai madre di tante figlie”. La visione prosegue e Laura vede: “parrocchie, lavoreri, funzioni, funerali, scuole, gioventù, bambini”, mentre Gesù le fa intendere che quello sarebbe stato il campo del suo apostolato: “Ecco il tuo compito, coraggio Laura, io sono con te e tu dal mio cuore otterrai lumi, forze, aiuto, soccorso. Non temere” (DS, 139-140). Quando la Serva di Dio usciva da S. Babila suonavano le tre, ma ella aveva la sensazione di aver passato in chiesa “non più di un minuto”.
Confusa e agitata Laura sentiva il bisogno di confrontarsi con padre Terzi e pregava per avere luce; la chiarezza le venne da Gesù stesso in una notte di poco successiva al giorno della rivelazione: “inginocchiata guardavo dalle griglie della finestra il tabernacolo; pregavo e piangevo”. Nuovamente la Serva di Dio sentì interiormente la voce di Gesù che la spingeva a scrivere: “Perché tanto ti affliggi, Laura? Perché cerchi lontano da me ciò che io solo posso e voglio darti? Mettiti a scrivere”. Inginocchiata in terra, appoggiata ad un tavolino, Laura scrisse tutta la notte, senza quasi sapere cosa: “Scrissi senza sapere che cosa. La mia mano era condotta da altri”; trasportata fuori dai sensi, in una visione intellettiva della umanità di Cristo, come non ne aveva mai avute, la Serva di Dio non si riscosse che all’alba: “Vi baciai i piedi, amor mio. Oh, come eravate bello […] cogli occhi del corpo, come il solito, avevo visto nulla; colle orecchie sentito nulla, eppure avevo visto voi in tutta la vostra bellezza e sentito la vostra dolcissima voce” (DS, 143-144). Laura ebbe la certezza della realtà di tale esperienza qualche ora più tardi ricevendo la S. Comunione: “Mi recai in chiesa, davanti al tabernacolo. Quando ebbi la fortuna di avervi ricevuto nel mio cuore, capii e conobbi chiaramente quanto era succeduto” (DS, 144-145).
In quella notte Laura scrisse le Regole della sua futura famiglia religiosa; per il momento però era ancora convinta che la sua vocazione fosse quella di essere consacrata nel mondo. Obbedendo a padre Terzi chiese di essere ammessa fra le Orsoline di S. Angela Merici[25], fra le quali pensava di entrare già da almeno un anno. Infatti, nelle Note spirituali, nel 1875 trascrisse le Litanie della Compagnia di S. Orsola, segno che ne conosceva le pratiche pie.
Dopo la visione della “bella notte”, Laura era convinta che il suo posto fosse fra di loro e che le molti giovani che aveva visto impegnate in opere a favore della povera gente della campagna fossero appunto delle Orsoline di famiglia.
L’ultimo periodo milanese di Laura è vissuto dunque nell’appartenenza a questa Compagnia, guidata a Milano da Giulia Vismara, una personalità di primo piano nella storia della Compagnia milanese con la quale la stessa madre Laura ebbe, in seguito, rapporti non facili[26].
Il 13 maggio 1880, circa un anno dopo il suo ingresso nella Compagnia, Laura fu ammessa alla vestizione ricevendo la medaglia-distintivo.
La sua vita non cambiò di molto: lo stile di vita che seguiva già da tempo coincideva alla perfezione con le Regole della Compagnia. Laura, nel frattempo, era rimasta sola perché il cav. Francesco era morto nella notte del 31 dicembre 1879. Gli eredi, fidandosi pienamente di lei, vollero che si occupasse ella stessa del passaggio dell’amministrazione. Laura si trasferì poi in casa di sua sorella Clara, sposatasi nel 1876 con Rodolfo Andreoni: fragile di salute, aveva già tre bambini ed era in attesa del quarto. Laura in quella famiglia divenne un aiuto prezioso.
Il periodo che intercorre fra la morte del Biffi e il 22 giugno, quando Laura chiude il suo quadernetto delle Note spirituali, è contrassegnato ancora una volta dalla ricerca della volontà di Dio. Laura era ora libera e, grazie ad un lascito del Biffi, anche discretamente possidente. Un pellegrinaggio a Brescia sulla tomba di S. Angela Merici e un colloquio con un santo religioso, il p. Chiarini dei Filippini[27], sembrano aver chiarito a lei e a padre Terzi la via da seguire: “la mia santificazione è il bene della campagna: ecco il compito mio. Assistetemi, o mio Dio” (Notis, 22 giugno 1880).

Le “Note spirituali”: struttura e contenuto
– Sguardo di insieme
Le “Note spirituali” sono raccolte in un quadernetto di piccolo formato, cui Laura ha posto come intestazione: “Dio solo! O amarvi o morire, o mio tesoro. Meglio soffrire la morte più crudele che vivere un solo momento senza amarvi o mio Dio. Si è vero non sono degna di ricevere tanti vostri favori, ma giacché tanta bontà usata meco, degnatevi concedermi una umiltà profondissima, un amore ardente, una uniformità perfetta e una purità angelica”.
La prima data riportata è quella della S. Pasqua 1867, giorno in cui Laura promette a Dio di osservare il metodo di vita da poco composto; ella infatti lo trascrive esattamente come poi lo riporterà nel “Diario Spirituale”. Così pure in questo quadernetto si trovano le formule dei voti che via via pronunciava e rinnovava e le sue pratiche di pietà quotidiane.
In quel tempo erano in uso diverse preghiere e formule di consacrazione che costituivano la preghiera abituale del buon cristiano; esistevano svariati libri che le raccoglievano e servivano per accompagnare la preghiera nei vari momenti della giornata. Nel 1889 il canonico Giuseppe Riva, penitenziere del Duomo, pensò di riunirle in un unico manuale: “La Filotea”. Laura si ispira a queste devozioni allora in uso; a volte le trascrive, a volte ne cambia le parole personalizzandole. L’esame di questo manuale aiuta anche a comprendere la preghiera del tempo che fu la preghiera di Laura giovane donna. Molto spazio è dato alle devozioni verso il S. Cuore di Gesù; il secolo di Laura fu definito il secolo del S. Cuore, della riscoperta dopo il giansenismo del calore e dell’amore del Cuore di Gesù; quindi fiorirono le devozioni verso il Sacro Cuore e si ebbe un forte risveglio per la pietà eucaristica con le modalità dell’epoca: molte preghiere vocali, atti di amore, di consacrazione, di riparazione, di adorazione che i fedeli ripetevano durante la giornata, recitavano anche durante la Messa e nelle ore di adorazione eucaristica, specie durante le Quarantore. La gran parte di queste devozioni erano state per così dire importate dalla Francia, dove, quasi per reazione al giansenismo e alla laicità della Rivoluzione, si era riscoperto il lato “umano” della pietà verso Gesù Cristo: il suo Divin Cuore e la presenza eucaristica. Il filone di queste devozioni si agganciava alle apparizioni del S. Cuore a S. Maria Margherita Alacoque. Furono soprattutto i Gesuiti che le propagandarono e, in un certo senso, le codificarono in preghiere, confraternite, pie unioni e compagnie.

– La parte autobiografica delle Note spirituali
Più interessante è quella che possiamo definire la parte autobiografica delle Note a partire dal settembre 1872. Si tratta di riflessioni personali della Serva di Dio che rivelano il suo mondo interiore: la sua gratitudine a Dio e le sue promesse di essere sempre fedele alla grazia nella mortificazione dei sensi, nella rinuncia a sé stessa e quindi “in ogni cosa cercherò il mio Dio e la Sua gloria”; nella rinuncia sincera “al mondo, di cui non mi curerò”. Riaffiorano i suoi pensieri di sempre, anche se con consapevolezza la Serva di Dio propone: “opererò sempre con grande quiete e calma, evitando ogni fretta e procurerò di mantenere la libertà di spirito” (Notis, Chiusa del mese di settembre 1872).
Non si tratta però solo di un cammino in negativo, ma come insegna Giovanni della Croce è un togliere per avere, un negare per possedere e Laura di questo è pienamente consapevole. Ritornano infatti periodicamente le formule con cui rinnova il suo voto di verginità e le sue promesse, i “dolci e preziosi legami” con Gesù che ella chiama “dolcissimo sposo”, “mio tenero sposo”. In tali effusioni tanto spontanee, stese solo per se stessa, la Serva di Dio può dare libero sfogo a quanto ha in cuore ed allora si comprende bene come anche le pratiche di pietà che tanto minuziosamente elenca e si sforza di soddisfare, i voti che rinnova con assiduità, le mortificazioni che intessono le sue giornate non sono uno sterile esercizio, quasi soffocante ed inibente, ma il tradursi in pratica di un amore veramente ardente, di una volontà decisa a dare tutto a Dio. Lo stesso disprezzo per i beni materiali, causa di tanti interni conflitti, nasce dall’aver trovato un bene più grande che offusca tutti gli altri: “il nostro cuore e fatto per amare un Bene immenso e non troverà mai di che appagarsi nei beni limitati e fallaci di questa terra. Amor mio, eccomi tua, veramente tua per il voto di verginità perpetua. Col voto di verginità ti ho dato il cuore ed il mio corpo. Con quello di obbedienza la mia volontà; con quello di uniformità ogni desiderio; con quello di stare alla tua presenza ogni pensiero […]. Ti ho dato tutto, tutto senza riserva. A te ora compiere l’opera tua […].Un solo desiderio conservo: di amarti e di amarti sempre, di farti amare”. In questo slancio della Serva di Dio verso il suo Sposo non può mancare il pensiero dell’“amore riparatore”, sia attraverso l’adorazione del SS. Sacramento sia attraverso la sofferenza: “la croce preziosa” fisica o morale senza la quale non si può raggiungere la piena conformità con Cristo, “l’amor mio crocifisso”: “Amor mio, quanto avete sofferto per me. Anch’io voglio soffrire per voi. Amerò la croce; il patire mi sarà prezioso perché mi renderà somigliante a voi e sarà la prova più certa dell’amor mio per voi”.
Il pensiero della preziosità della sofferenza, come mezzo per assimilarsi a Cristo e per salvare le anime, ritorna spesso in questi appunti in concomitanza, probabilmente, con avvenimenti esterni che arrecano a Laura sofferenze che ella non registra, preoccupata invece di cogliere in pienezza l’occasione di conformarsi al suo sposo crocifisso: “Mio dolce Gesù, quanto è preziosa la tua croce! Essa sola io bramo, con essa sono felice. Come è dolce il patir per te. Abbraccio con tutto il trasporto del mio cuore questo caro segno di redenzione, nuda, pesante come tu vuoi, pronta a vivere e morire inchiodata e trafitta su di essa”.
Alcune tappe appaiono fondamentali in questo periodo di vita della Serva di Dio ed ella le annota con precisione; talvolta non sappiamo se ad esse corrispondano anche fatti esterni o se siano momenti importanti solo per la sua vita intima.
Interessante è quanto Laura annota sotto la data dell’8 dicembre 1872: “Mia consacrazione ai dolcissimi cuori di Gesù, Maria e Giuseppe ed entrata nel cosiddetto mio noviziato”. Anche se Laura riporta una preghiera di consacrazione che probabilmente non è composta interamente da lei, è interessante notare come ella la faccia sua. Suo è invece il concetto di una preparazione, seppur remota, alla vita religiosa, secondo l’idea che teneva in cuore: “finché mi lascerete nella mia presente posizione, mi ingegnerò di fare il mio noviziato […] noviziato che consacro con tutta me stessa ai SS. Cuori di Gesù e Maria”.
Nel 1877 la Serva di Dio appunta le brevi note dei suoi esercizi privati; sono pensieri molto più brevi di quelli che ha steso per gli esercizi del 1872 e 1874. Laura ritorna sui suoi pensieri abituali, quelli che possiamo definire il tessuto della sua anima e che, sviluppati e vissuti con le successive esperienze della vita, rimarranno comunque sempre le linee portanti della sua fisionomia spirituale: l’unione ininterrotta con Dio, la corresponsione alla grazia, il bene delle anime e soprattutto quel rincominciare sempre “ex novo” per crescere nell’amore, per dare nuova vita ad ogni atto anche il più banale, per infondere un rinnovato vigore alla decisione di essere tutta di Dio, costi quello che costi, perché l’amore non diventi mai un’abitudine, ma anche nella sofferenza abbia sempre uno slancio nuovo, fresco, pieno di vita: “Mio buon Gesù, da questo momento vi consacro ogni momento del viver mio, ogni fatica, ogni cosa. Voglio d’ora innanzi operare, pensare, parlare, riposare, dormire […] ma tutto e solo come piace a voi e per amor vostro […]. Fatemi la grazia che vi riceva sempre con nuovo fervore, grande fede, umiltà profondissima, amore generoso”. Nella “chiusa” di quegli esercizi torna il tema del “noviziato” strettamente connesso all’obbedienza a p. Terzi che per la Serva di Dio è il portavoce di Gesù; se da un lato Laura desidera una vita religiosa regolare, dall’altra si abbandona a Dio, vivendo con fervore questo “noviziato che durerà finché Vi degnerete disporre in altro modo di me servendovi del mio superiore”.
Il piccolo quaderno serve a Laura anche come libro di preghiera: in esso riporta le preghiere dell’Ave Maria, del Padre Nostro, il Credo, il Magnificat ed altre orazioni da recitarsi durante la Messa e dopo la comunione e quelle che, per il loro contenuto, corrispondono alle sue aspirazioni. Interessanti sono le “Litanie della Compagnia di S. Orsola” riportate prima del 1875, prova che ella pensava già ad una consacrazione fra di loro.
Laura, tanto riservata nel manifestare i suoi sentimenti con qualsivoglia persona, nei suoi colloqui con Gesù si sente libera di aprire tutto il suo animo ed usa delle espressioni che sembrano quasi contrastare l’atteggiamento riservato e schivo con cui parla di sé stessa nel “Diario Spirituale”: Gesù, “l’amore mio sacramentato”, “l’amore crocifisso” è il fine e l’oggetto di questo amore che anela alla perfetta assimilazione a lui, fino a scomparire: “Nella piaga SS.ma del tuo costato nascondimi, onde tutti si scordino di me ed io mi scordi di loro. Rendimi una vittima del tuo amore, bruciami tra le fiamme del tuo Cuore dolcissimo […]. Vorrei poter corrispondere fedelmente, vorrei contraccambiare amore con amore […]. Mio Signore dolcissimo alle molte ed infinite grazie concessemi per tutta sola vostra bontà, aggiungete anche quella di potervi corrispondere, di amarvi, di vivere, sperare solo per amore vostro, di adempire in tutto la vostra SS.ma volontà”. Non stupisce leggendo queste espressioni che la Serva di Dio invochi fra i suoi santi protettori una mistica dell’amore come S. Maria Maddalena de’ Pazzi e ricalchi il linguaggio del cantico di S. Giovanni della Croce, che ella non conosceva: “Amarti grandemente, continuamente e consumarmi di amore per te, o mio Diletto, o delizia del cuor mio […]. Te solo amo, te solo desidero, per te solo opero, vivo, respiro, o mio dolcissimo sposo […]. Tu solo o mio bene appaghi il mio cuore.”
L’amore che lega Laura a Cristo è totale, esclusivo e potremmo dire assoluto. Egli solo deve regnare sul suo corpo, sul suo cuore, sulla sua anima: “Tu solo sei degno di ogni adorazione, di ogni lode, d’ogni affetto del mio cuore. Vieni, o Re celeste, vieni a regnare su me interamente. Regna sui miei occhi, sulla mia lingua, sulle mie orecchie, sui miei pensieri, sui miei affetti, sul mio cuore, sull’anima mia, sul mio corpo, sul tempo e sulle cose che mi hai donato. Renditi assoluto padrone, fammi tua serva, tua schiava, tutta e sempre tua. Ti voglio amare senza riserve perché ne sei degno; col consenso dell’obbedienza rinuncio ad ogni gusto e consolazione spirituale e corporale, per amarti senza interesse alcuno. Gusti, delizie e consolazioni a te ne faccio un sacrificio e tu, per i tuoi meriti, dammi un amore grande, generoso e perseverante”.
Talvolta lo slancio con cui Laura si offre a Dio e il desiderio ardente di unirsi a Lui, le fanno anelare il Paradiso come unico stato in cui l’unione può compiersi perfettamente: “Oh sì, amor mio, io non posso lasciare quel Cuore senza averlo presente. Io dunque Laura faccio voto di tenere sempre di mira il tuo cuore. Quando dormirò avrò vicino il cuore del mio Diletto. Quando mi alzerò, mi alzerò nel cuore dell’amore. Il mio diletto non si allontanerà dalla sua diletta sposa. Quando mangerò, opererò, camminerò, prenderò qualche sollievo, voglio sempre aver vicino il cuore del mio diletto, giacché tu, o mio diletto, mi hai legata al tuo cuore con catene d’amore finché verrò a goderti […] Oh che amore proverà il mio cuore nello stare alla tua presenza. Io non voglio mai più separarmi. Come farò a non struggermi per l’amato? Quanto debbo amare? Gesù, devi essere come una fiamma che introduce all’amore e da quella escono tante fiammelle che infiammano il cuore della tua diletta sposa. I trasporti della tua sposa saranno tante fiammelle che al tuo cuore saliranno, o mio diletto”.
Tuttavia il perfetto abbandono alla volontà di Dio è più forte ancora del desiderio di unirsi a Lui nell’eternità: “Sento in me un grande desiderio di morire per essere fuori dal pericolo di offenderti, per vederti o mio caro tesoro; ma se la tua gloria, il tuo piacere, la salvezza delle anime richiede che si prolunghi anche lungamente il mio esilio su questa terra, sono pronta, benché mi costi più di qualunque altro sacrificio, giacché nulla altro bramo per tua grazie che il perfetto adempimento della adorabilissima tua volontà”.
“Voglio” è un’espressione che si ripete numerose volte in queste note, quasi a ribadire e rendere perenni le promesse della Serva di Dio nelle quali ella trasfonde tutto il suo essere: “Voglio sempre aver vicino il cuor del mio amore”; “sì, voglio farmi santa”; “fino alla morte non voglio vivere, operare, respirare che per piacere a Voi e per procurare la vostra gloria e la salvezza delle anime”. “Voglio amarvi davvero”, “oggi voglio proprio cominciare a farmi santa”; “sì, gran santa voglio farmi, con l’aiuto tuo, sino a costo dei più grandi sacrifici”; “sì, mio dolce e tenero bene, voglio darmi interamente a te, anzi oggi stesso voglio cominciare a mettere in pratica i tuoi avvisi”; “voglio vivere solo per te”; “voglio, stando in mezzo al mondo, condurre una vita da vera religiosa e nascosta”; “mio divin maestro […] voglio proprio imitarvi più che posso […] voglio camminare sempre sui vostri santi passi”; “voglio disprezzare i beni e i piaceri della terra”; “oh, amor mio, quanto avete sofferto per me; anch’io voglio soffrire per voi”.
Laura si offre dunque continuamente a Cristo, al suo dolcissimo Signore con un’offerta sponsale, piena e totale e come sposa esige di essere riamata con uguale totalità: “Fatemi partecipe alle dolcezze tutte che il vostro cuore comunica alle anime sue predilette. Oh sì, le ardenti fiamme di quel cuore investano così il mio che più non si riconosca […] Perché, mio amore, non mi è dato di poter io essere te e tu essere me, onde amarti infinitamente di più di quel che saresti?”.
La gloria di Dio e la salvezza delle anime sono comunque il perno su cui poggia tutta la vicenda spirituale di Laura Baraggia: “né un passo, né una parola, né uno sguardo, né un atto, né un respiro che non sia o per la vostra maggior gloria o per il bene del prossimo”.
Parimenti la Serva di Dio esprime il suo amore e la sua devozione a Maria, “dolcissima madre”, “madre tenerissima” cui chiede aiuto per essere fedele, umile, sottomessa, come lo è stata lei nella famiglia di Nazareth; così si appella anche all’intercessione degli angeli e dei santi, ma è il Cristo l’accentratore di ogni sua energia spirituale. Pur ritenendosi un nulla, una piccola cosa, fin dal 1875 è consapevole che Dio le riserva una missione singolare, per cui l’ha colmata di grazie non comuni: “sento che il diletto Gesù vuole da me una vita santa, anzi quasi simile a quella degli Angeli e a questo scopo grandi e molte grazie mi ha concesso e mi concede continuamente”. Le espressioni ardenti con cui la Serva di Dio si rivolge a Gesù, specie dopo averlo ricevuto nella S. Comunione, “dono immenso dell’infinito amore vostro e dolcezza del mio cuore […] paradiso di questa terra”, non significano che necessariamente corrispondano a stati d’animo di consolazione spirituale; si direbbe, al contrario, che Laura per lo più viva in una certa aridità, anche perché lei stessa aveva chiesto a Dio di toglierle ogni dolcezza sensibile per poterlo amare con vera gratuità: “Rinuncio ad ogni gusto e consolazione spirituale e corporale per amarti senza interesse. Gusti, delizie e consolazioni, a te ne faccio un sacrificio e tu, per i tuoi meriti, dammi un amore grande, generoso, e perseverante”.
Tuttavia, pur nell’aridità, il tabernacolo è il luogo dove Laura ferma la sua stabile dimora e, se non può materialmente separarsi da ogni cosa per sostare davanti a Gesù sacramentato quanto e come vorrebbe, non se ne allontana con il pensiero e con l’amore: “Ai piedi del vostro altare procurerò starvi continuamente col corpo e con lo spirito, sempre in atto di adorazione, di riparazione”; “Io sono felice di averti dato tutto e di consumare tutta me stessa in spirito di amore riparatore. Ai piedi del tuo tabernacolo o col corpo o con lo spirito troverai sempre la tua indegna sposa Laura. Del suo, avrà niente da offrirti, solo umiliazioni e pentimenti, ma sarà sempre felice di sapersi vicino al suo dolce sposo e di offrivi l’amore degli Angeli. Felice poi al sommo di poter un giorno morire ai piedi del tabernacolo”.
Il Cuore dolcissimo di Gesù, come il SS. Sacramento, è oggetto del suo amore, perché espressione concreta del Cristo attraverso la cui umanità si ama il Padre; così come il tabernacolo è il rifugio ideale e reale per Laura, anche il Cuore di Cristo che ha tanto amato gli uomini è il luogo privilegiato in cui racchiudersi per vivere in continua comunione di amore di offerta: “Amor mio, eccomi racchiusa nel dolcissimo tuo cuore […] Hai vinto, o mio tenero sposo, ed io sono felice di trovarmi nel tuo SS. Cuore e di poter dire con verità: mio unico luogo il cuore del mio Gesù, mio unico impegno consolare e sollevare il cuore del mio sposo sarà d’ora innanzi. Una sola grazia ti cerco: di amarti, di amarti almeno quanto non sei amato ed è capace una tua creatura, farti da tutti amare in ogni luogo e per sempre”.
E quando la sua piccolezza le pare tanto grande da non poter degnamente lodare il suo Dio, Laura fa sua la voce del creato: “Che in mio nome vi lodino e vi benedicano finalmente vi rendano eternamente grazie le creature tutte, quante sono le gocce d’acqua, le stelle del cielo, gli uomini del mondo e i santi del paradiso”.
Di più, Laura sente come propri l’amore degli angeli e dei santi, persino della Madonna e dello stesso Dio Padre e come tali può offrirli al Cuore del suo Gesù per amarlo e consolarlo: “Eccoti l’amore dei Santi, eccoti l’amore degli angeli, ma non basta. Eccoti l’amore della tenera mamma Maria, più ancora eccoti l’amore dell’eterno tuo Padre. Oh consolazione, sei amato! Il mio misero cuore lo nascondo in mezzo a questi cuori, io ti amo con questo amore”. Tali parole sembrano riportarci all’Orazione dell’anima innamorata di Giovanni della Croce, che Laura tuttavia non conosceva.
Le “Note spirituali” sono indubbiamente il documento più prezioso per quanto riguarda la storia spirituale di madre Laura, anche perché composto contemporaneamente ai fatti che ella riporta anni dopo nel “Diario Spirituale”; non si potrebbe capire il “Diario” senza l’aiuto di queste “Note” e viceversa. Nel “Diario Spirituale” Laura registra a posteriori gli avvenimenti esterni della sua vita; in queste “Note”, fino al 1880, rivela il suo mondo interiore. Lo studio di questi due documenti fa emergere la figura completa della Serva di Dio e la rende viva e palpitante.

NOTE SPIRITUALI
DAL 1867 AL 1880